Hacking democracy? Hacker russi, Wikileaks, propaganda, elezioni americane

Oggi pomeriggio alle 15, nella Sala Raffaello presso l’hotel Brufani, si è parlato di hacking, Wikileaks ed elezioni americane nel panel intitolato “Hacking democracy? Hacker russi, Wikileaks, propaganda, elezioni americane”. Sono intervenuti Lorenzo Franceschi-Bicchierai, giornalista di Motherboard che si occupa di hacking, sicurezza delle informazioni e diritti digitali, Carola Frediani, giornalista de La Stampa, Stefania Maurizi, giornalista di Repubblica e Andrei Soldatov, direttore di agentura.ru. Si è discusso sulla questione riguardante il Democratic National Committee (l’organo di governo del Partito Democratico Americano) e il sospetto che il DNC abbia favorito la candidata Hilary Clinton alle primarie. Gli speakers hanno discusso - a tratti anche animatamente - se dietro a questa intricata vicenda fosse davvero coinvolta la Russia, come sostengono rapporti congiunti di CIA, NSA e FBI. Lorenzo Franceschi-Bicchierai ha parlato di Guccifer 2.0, il sedicente hacker rumeno che a ridosso dello scandalo ha rivendicato l’hacking. «Ho scoperto che tale Guccifer 2.0 aveva un account Twitter - spiega - così gli ho scritto facendogli delle domande per capire se fosse davvero russo. Ma dalle sue risposte, e facendo altri controlli, sono arrivato alla conclusione che non fosse russo, ma rumeno». La giornalista Carola Frediani ha chiesto, a riguardo, se non fosse troppo semplicistico incolpare i russi per l’hacking ai danni del DNC: «è ovvio che la Russia ruba informazioni - ha risposto Stefania Maurizi, che lavora con Wikileaks da otto anni - come del resto fanno tutti i servizi segreti del mondo. Ciò che mi sembra assurdo è come abbia fatto la DNC a non accorgersi dell’hacking subito. Il fatto che l’FBI non si rivolga alla DNC - continua Maurizi - è incredibile; c’è qualcosa che non va nella ricostruzione ufficiale, ci sono elementi bizzarri in questa storia». Così la giornalista di Repubblica ha preso la parola: «lavoro con Wikileaks da molti anni e ho visto tante pubblicazioni, documenti originali. So come lavorano e se mi chiedono se ho notato qualcosa di insolito nelle pubblicazioni sulla DNC rispondo di no». Carola Frediani si è poi rivolta a Andrei Soldatov, chiedendogli se ultimamente la Russia non sia diventata più aggressiva sul fronte cibernetico. «In Russia, diversamente che in Cina, la maggior parte degli hacker sono persone che non fanno parte del governo e non sono militari. Sono persone assunte dal Cremlino per fare hacking, e questa non è una novità: succedeva già negli anni 90 contro i ceceni». Soldatov si sposta sull’argomento centrale della discussione, l’hacking alla DNC: «per quanto riguarda l’attacco alla DNC, la Russia nega l’attività di qualunque organizzazione governativa dietro a quel leak. Ma non hanno mai negato - aggiunge - che non sono stati loro, hanno solo precisato la loro estraneità a livello governativo». Carola Frediani ha posto una domanda finale sulle conseguenze per il giornalismo, chiedendo se c’è il rischio che i giornalisti vengano influenzati da questa vicenda e da tutte le altre vicende riguardanti fughe di notizie riservate. «Per il giornalismo la cosa più importante da capire non è da dove arrivano certe notizie, ma come fare a verificarle», ha detto Soldatov. In chiusura, anche Stefania Maurizi ha risposto a questa domanda: «l’unica cosa davvero importante che noi giornalisti dobbiamo fare - ha spiegato - è rimanere scettici di fronte ad ogni notizia che arrivi da servizi di sicurezza. Noi giornalisti non dobbiamo credere a nessuno».

Nicola Brandini