Il giornalista fantasma

di Vincenzo Marino

In una vignetta del New Yorker del ‘95 ci sono due dinosauri. Il primo spiega all’altro: «Sotto 'occupazione' di solito metto 'abitare la terra'». Una battuta innocente che, applicata ad un qualsiasi contesto, può diventare metafora del rapporto del vecchio col nuovo, della prepotenza e la cecità di chi crede di governare un sistema che sta, comunque, lentamente morendo. Abitare la Terra, in tranquillità e per consuetudine, è la sicurezza dei tanti, troppi giornalisti ‘vecchia maniera’ raccontati nell'ebook di Carlo Felice Dalla Pasqua Il giornalista fantasma (edito da 40K, qui il link per acquistarlo su Amazon), un post in formato epub sull'estinzione di quegli ‘animali da redazione’ destinati a scomparire se incapaci di evolversi.

Sempre più lontani dai linguaggi e dai mezzi offerti dall'attualità, questi rischierebbero di anno in anno di riscoprirsi padroni di un pianeta lontano, tutto loro, come racchiusi da una bolla piena di gas innocui e autoreferenzialità, incapaci di accorgersi della distanza sempre più incolmabile che tracciano fra le loro versioni, i loro avvisi, il cosiddetto ‘paese reale’ e i ritmi dell’informazione odierna. «Quel giornalista - scrive Dalla Pasqua - è come parte di un gruppo di dinosauri che ormai si muovono sempre più impacciati: sono convinti di dominare il mondo, in realtà, li sta emarginando e li abbandonerà su un piccolo satellite nel quale continueranno a esistere, ma con sempre meno contatti con il pianeta Terra».

C'è il giornalista che vanta la propria infinita ignoranza in fatto di internet, quello che riesce ad usare gli strumenti della rete, ma approcciandoli con metodi ancora tipici del giornalismo tradizionale, senza essere in grado di declinare usi e costumi della professione sui nuovi mezzi. E ci sono numerosi semplici cittadini che aspirano a contribuire all'informazione con le loro opinioni, spesso con le loro notizie, quasi a voler sostituire i vecchi attori, ormai «fantasmi» nelle sedi dei giornali. «Ci dev'essere comunque qualche testimone dei fatti, in grado di raccontarli», precisa l’autore. «Un tempo, il giornalista era l'unico capace di essere quel testimone. Oggi chiunque, attraverso la tecnologia, la connessione e la condivisione via social network, può raccontare un fatto e diffonderlo».

Ma non basta, comunque, a mettere definitivamente in soffitta la professione: «il punto resta l'autorevolezza e l'originalità con cui si diffonde questa conoscenza». Il lettore avrà sempre bisogno di professionisti in grado di raccontare le cose per come stanno, per come effettivamente meritano di essere lette o viste. A prescindere da luogo e tempo, le notizie dovranno comunque essere cercate, trovate e verificate - in prima istanza; essere scritte seguendo determinati canoni, mutevoli al variare del mezzo utilizzato e del pubblico al quale ci si rivolge; ed essere raccontate e divulgate al meglio possibile. Prassi già note ai giornalisti di qualsiasi epoca, che in qualche modo - con ritmi e tempi diversi, perfino con nomi differenti da quelli del passato - dovranno comunque essere contemplate. Che è cosa non da tutti.

In questo senso, Dalla Pasqua cita l’episodio del famigerato tweet che per primo avrebbe dato la notizia del blitz americano in Pakistan, l'azione che portò alla cattura di Osama Bin Laden. «Helicopter hovering above Abbottabad at 1AM (is a rare event)» è la frase che verrà ricordata come caso esemplare dell'abbattimento del muro tra attori dei media e semplici utenti della rete. Eppure proprio un episodio simile dimostrerebbe quanto la figura del professionista, in questo caso, si renda ancora necessaria: «In realtà Athar [l’autore del tweet] non scrisse dell'operazione contro Bin Laden. Scrisse, invece, di un evento inconsueto per Abbottabad: ci pensarono poi altre fonti e alcuni giornalisti a mettere in relazione le sue parole con informazioni provenienti dalla casa bianca sull'uccisione di Bin Laden. Athar raccontò soltanto alcuni fatti, alcuni atomi di informazione; furono i giornalisti a scoprire i legami chimici e a riunire quegli atomi in molecole di informazione». In poche parole, come funziona il processo di reperimento, selezione e filtraggio delle notizie. Ieri come oggi.

Che si tratti ancora di ‘giornalismo’? L’arte e il mestiere del raccontare agli altri - spiega l’autore - hanno conosciuto nei secoli gli strumenti, i tempi e i nomi più diversi, e non è detto che la professione ‘del futuro’ - nella quale la commistione con i contenuti prodotti da quello che una volta era mero ‘pubblico’, e l’interazione con questo, sarà una costante -  dovrà essere necessariamente identificata nei modi e nei termini che siamo abituati a usare: il giornalista, oggi, «non porta con sé alcuna eredità da far pesare sulla bilancia della fiducia, come invece accadeva prima, quando offriva il suo prodotto in regime di monopolio. Colui che ora chiamiamo 'giornalista' si trasforma così tanto, vivendo in quell'ecosistema e confrontandosi con coloro che non sono professionisti delle informazioni, che probabilmente non ha più senso usare quel nome».

È difficile, in ultima analisi, capire quali saranno gli scenari della prossima era informativa. Le notizie, negli anni a venire, saranno prodotto da avvicinare e proporre con professionalità tipicamente ‘commerciali’, forti di efficienza, chiarezza, precisione e nitidezza tipiche dei «customer care» (da qui la ricerca di professionalità più tecniche che umanistiche, le redazioni  che «ospiteranno ingegneri più che laureati in lettere e filosofia»), una cura dei contenuti necessaria e inimitabile da opporre all'ossessione della velocità - resa quasi inutile in tempi di «information overload» - e alla nuova concorrenza delle «nicchie di esperti» del tutto autonome ma comunque in grado di competere «in singoli settori o di fornire informazioni interessanti che i tradizionali mass media spesso trascurano». Meglio allora il contenuto originale, raccontato in modo diverso su diversi strumenti («scrivere per il sito non è la stessa cosa che pubblicare uno status su Facebook o una foto su Pinterest. Per questo sarebbe necessario usare linguaggi diversi a seconda del mezzo di comunicazione»), per quella sfida - l’essere ‘multitasking’ - che sarà una delle discriminanti principali fra attori in grado di sopravvivere e «fantasmi» da redazione.

Eppure, rammenta Dalla Pasqua, «in un mondo che si muove a velocità vertiginose, che dieci anni fa non conosceva un fenomeno come quello dei social network e tre anni fa non sapeva cosa fossero i tablet, fare previsioni su come sarà il 2015 o il 2020 è quantomeno azzardato, oltre che inutile». E i dinosauri potrebbero ancora fare in tempo a cacciare e godersi le loro ultime prede.