“Il giorno in cui la notte scese due volte” è un documentario dei registi Matteo Lolletti e Lisa Tormena sulla drammatica vicenda del giovane Alberto Mercuriali: agronomo 28enne di Castrocaro che, una sera del luglio 2007, fu fermato dai carabinieri e trovato con una piccola dose di hashish. Unico reato che si configurava era quello del possesso.
Da quel momento la vita di Alberto viene risucchiata nel meccanismo del protagonismo delle forze dell’ordine e dello scoop giornalistico. Un meccanismo perverso che, come un effetto domino innescato da tanti piccoli elementi, spinge Alberto al gesto estremo del suicidio.
Perché una notizia di questo tipo arriva in prima pagina? Perché le forze dell’ordine cercano la spettacolarizzazione? Come spiegano Lolletti e Tormena il documentario “è un lavoro di ricostruzione storica dei fatti, attraverso le testimonianze di amici, genitori e conoscenti di Alberto, che vuole spingere alla riflessione sulle conseguenze e sulle responsabilità di questo meccanismo".
Quella notte del luglio 2007 il buio infatti calò su due fondamentali colonne portanti della nostra democrazia: le forze dell’ordine e l’informazione.
Nel momento in cui i carabinieri perquisiscono casa di Alberto il giovane viene rassicurato dalle forze dell’ordine le quali gli garantiscono l’anonimato. Il patto però salta nel momento in cui i carabinieri indicono una conferenza stampa durante la quale, pur non fornendo inizialmente nome e foto, forniscono ai giornalisti informazioni su lavoro, età e la località di residenza di Alberto. Dettagli che in piccoli paesi equivalgono a fornire nome e cognome. Inoltre, nel corso della conferenza stampa, i carabinieri diffondono, già in formato fotografico, l’elemento del libro con la droga all’interno delle pagine ritagliate ritrovato a casa di Alberto. Ed è questo che innesca il meccanismo successivo: quello della prima pagina.
Alla responsabilità, o alla superficialità, dei carabinieri si aggiunge quella dei giornalisti locali i quali contribuiscono al corto circuito: la notizia viene riportata in prima pagina dal Resto del Carlino- cronaca Forlì e gli abitanti di Castrocaro e Terra del Sole, attraverso i pochi dettagli forniti sull’identità del giovane, risalgono facilmente al nome di Alberto. “Il regno dell’ombra” è il libro all’interno del quale i Carabinieri trovano la droga: elemento che però non viene verbalizzato, ma solo fotografato e dato in pasto alla stampa. Materiale perfetto per il titolo di prima “Droga nascosta nel libro”, e per un articolo romanzato.
Alberto, come dichiara un amico nel documentario “aveva paura che il padre venisse a sapere dell’uso di droghe leggere e che il capo lo licenziasse” e, nonostante il patto con i carabinieri sul suo anonimato, si è ritrovato sulla bocca di tutti. Egli stesso, prima di togliersi la vita, spiega in una lettera che “i carabinieri avevano tradito il patto, nonostante l’avessero tranquillizzato dicendogli di andare per la sua strada e non preoccuparsi. Forze dell’ordine e stampa hanno la responsabilità del suo gesto” scrive Alberto, “per l’umiliazione dell’impatto del modo in cui la sua vicenda era stata raccontata, senza tenere conto del peso che in una piccola comunità possono avere delle parole e dei fatti”.
Come spiega il regista Matteo Lolletti “la tragica vicenda di Matteo è figlia di un meccanismo che non riusciamo più a controllare. Qualche giorno dopo il suicidio di Alberto il paese di Castrocaro era pieno di manifesti e lenzuola bianche alle finestre con scritto “Il giorno in cui la notte scese due volte”: il paese si ritrovò in una fiaccolata spontanea perché era chiaro a tutti che Alberto era stato vittima della necessità di riempire le pagine di un giornale o di indire una conferenza stampa da parte di carabinieri in cerca di protagonismo”.
Presente alla proiezione del documentario anche Cristina, la mamma di Alberto, la quale ha spiegato la farsa giudiziaria: “La vicenda è finita in tribunale perché abbiamo denunciato per induzione al suicidio stampa e carabinieri”. L’inchiesta però “è stata archiviata perché con la motivazione che Alberto era stato portato a conoscenza di tutto”, cosa che farebbe decadere le responsabilità. Tutto rientra nel diritto di cronaca e nel dovere delle forze dell’ordine spiega Cristina che definisce “un sistema blindato” a protezione delle istituzioni. “Io spero che la storia di Alberto possa portare le istituzioni a essere più vicini e sensibili alla quotidianità. Attualmente, come rivela la vicenda di Alberto, c’è una distanza siderale fra le persone e le istituzioni che dovrebbero tutelarle. Questo riavvicinamento serve anche ad evitare una fuga dalle proprie responsabilità”.
Alessandro Ingegno