Oggi, alla Sala dei Notari, alle ore 14.30, si è tenuto il workshop “Il nuovo storytelling nel videogiornalismo: il caso Ruanda”.
Erano presenti: Mario Calabresi, direttore La Stampa; Domenico Quirico, La Stampa; Marco Bardazzi, La Stampa; Giordano Cossu, giornalista e documentarista.
Il XX secolo è stato segnato anche dal genocidio in Ruanda: tra luglio e aprile del '94 vennero massacrate in circa 100 giorni almeno 500.000 persone (cifra che è continuata a a crescere drasticamente) a colpi di armi da fuoco, machete pangas e bastoni chiodati. Le vittime erano principalmente Tutsi che, insieme a Twa e Hutu, sono una delle tre classi sociali delle nazioni di Ruanda e Burundi nella regione africana dei Grandi laghi.
Quirico – La Stampa: “Vent'anni fa la vicenda del Ruanda ha cambiato profondamente il mio modo di rapportarmi con ciò che mi circonda. Nella professione giornalistica, con qualunque mezzo tu lo compia, macchina da scrivere, penna o tecnologia, esiste un rapporto 'etico' con le persone che descrivi. Con questo, voglio dire che se tu fai bene il tuo mestiere, allora a cambiare nel tempo saranno le tue idee sulla vita, sulla morte e sulla condizione umana. Ciò che conta, è mantenere un rapporto diretto con quello che scrivi e con la vita di coloro di cui racconti. Non si tratta, quindi, di un problema di tecnologia. Se 'raccontare' è passione, allora 'vedere' diventa l'atto fondamentale del giornalismo e questo, purtroppo, è diventato sempre più difficile. Non esistono tecniche del racconto perfetto perché l'unica via praticabile è quella di immergersi nella narrazione stessa. 'Raccontare' è come buttarsi in un pozzo: arrivi fino in fondo e quando risali, ti ritrovi sulla pelle gli odori, i sapori del tuo viaggio ed è da qui che inizia la storia. Il mio sforzo è offrire a chi legge il personaggio che ho incontrato, rimettendolo in vita. 'Raccontare' non significa rimanere sul bordo del pozzo e limitarsi a guardare. La vertigine più straordinaria del giornalismo è la trasformazione di storie in parole. Il suo linguaggio, la sua nitidezza espressiva è la ragion d'essere del giornalismo: questa è la più grande avventura”.
Calabresi – direttore La Stampa: “Ciò che conta è dimostrare che esistono molte possibilità di raccontare le realtà. Non esiste solo quello 'tradizionale' o 'digitale'. Il giornalismo è uno, mentre tanti, invece, sono gli strumenti di declinazione. I racconti di Quirico e Cossu sono ospitati sulla stessa piattaforma giornalistica ma a differire sono i linguaggi. Bisogna esserci e raccontare e, quindi, sapersi immergere nel pozzo della realtà. Oggi si assiste uno sbandamento nel mondo dell'informazione perché la tecnologia non è la risposta”.
Bardazzi – La Stampa: “Parlare di storytelling nel contesto digitale è utile per riflettere sulle direttive future. Ma per farlo, dobbiamo fare un passo indietro. Nel 2000 si discuteva di come i nostri cellulari sarebbero diventati sempre più 'smart' e quale fosse l'effettivo significato del termine. Il 9 gennaio del 2007 Steve Jobs stravolge la nostra quotidianità ma il primo contributo nel giornalismo è stato il 20 dicembre del 2012 quando il New York Times ha lanciato 'Snow Fall'. Credo che una strategia redditizia sia contaminare il giornalismo con apporti diversi, quali quelli di sviluppatori, grafici, design perché la tecnologia è un aiuto”.
Cossu – documentarista: “Ci sono casi in cui la crossmedialità si adatta bene alle storie complesse. Molti colpevoli del genocidio in Ruanda sono tornati nei villaggi dove abitavano e analizzare la situazione a distanza di venti anni è stata una sfida interessante. Il web documentary è un video interattivo in cui si passa da un personaggio all'altro e si spiega il loro ruolo nella vicenda. Diversi sono i contenuti addizionali e diamo la possibilità all'utente di scegliere il percorso narrativo: l'obiettivo è quello di far assumere prospettive diversificate e far esplorare tutti gli aspetti della storia”.
Perugia, 02 maggio 2014
Annalisa D'Ambrosio
@anna_dambro5