Come si è dislocato il potere in Italia negli ultimi vent’anni? E quali sono le somiglianze e le differenze tra la fine della prima Repubblica e quella della seconda? Queste sono le domande a cui si è cercato di dare una risposta durante la panel discussion intitolata Il potere in Italia che si è tenuta durante la prima giornata del Festival Internazionale del Giornalismo.
Cornice dell’evento è stata la Sala dei Notari, dove un pubblico tanto numeroso quanto attento ha seguito le riflessioni esposte sull’argomento da Marco Damilano, notista politico de l’Espresso, dal giornalista Tommaso Labate, dalla redattrice de il Fatto Quotidiano Antonella Mascali e da Claudio Gatti de Il Sole 24 Ore, autore, insieme a Ferruccio Sansa, del libro Il sottobosco. Berluscononiani, dalemiani e centristi uniti nel nome degli affari. L’incontro è stato moderato da Alessandro Campi, direttore di Rivista politica.
Dal confronto storico con cui Damilano ha aperto gli interventi, è emersa la preoccupazione per un potere ad alta vischiosità in cui i volti che si trovano a dover gestire questa nostra epoca di cambiamenti sono gli stessi che avevano avuto a che fare con Tangentopoli. La differenza principale – sostiene Damilano – è che “a un bipolarismo invisibile si è sostituito un bipolarismo estremizzato nei toni, ma che non tocca le grandi questioni di questo Paese”.
Proseguendo su questo ragionamento, Gatti, nell’autoproclamata veste di provocatore, ha ravvisato come a un potere che sempre più vede la politica intrecciarsi alle lobby della finanza, a pezzi della magistratura e ad alcune figure del giornalismo, faccia da contraltare l’alta soglia di tolleranza dell’elettorato italiano, che di fronte ai numerosi scandali emersi non è riuscito ancora a disfarsi di una classe politica che rimane immutata da vent'anni, mentre negli Stati Uniti, paese in cui Gatti risiede, è stata possibile l’ascesa alla Casa Bianca di un uomo come Barack Obama, che solo quattro anni prima della sua elezione era sconosciuto ai più.
Sostanzialmente d’accordo con questa analisi Labate, il quale intravede nelle tecnologie oggi disponibili la possibile via d’uscita, vero e proprio faldone d’accusa tascabile nei confronti di uno Scajola o di una Rosy Mauro: dovrebbe essere considerato reo per i fatti di Genova del 2001, il primo, e dell’approvazione sui generis dei regolamenti applicativi della Legge Gelmini, la seconda, fatti molto più gravi di quelli loro contestati successivamente. Altrimenti . dice Labate – il rischio è quello di “giocare una terza partita in cui protagonisti saranno gli stessi della prima e della seconda”.
Il rilancio della questione morale è invece stato il nucleo dell’intervento di Antonella Mascali. Il senso dello Stato per la giornalista catanese è il requisito fondamentale dal quale occorre ripartire. Una questione che è trasversale all’asse destra - sinistra e che se non verrà affrontata in maniera definitiva consentirà alla corruzione di continuare a costare 60 miliardi di euro l’anno alle casse dello Stato. Si rende sempre più urgente l’approvazione di sanzioni più aspre per i reati di corruzione, unita all’allungamento dei tempi di prescrizione, perché con gli attuali difficilmente si può arrivare a una sentenza.
Partiti nuovi, istituzioni nuove e una nuova mentalità dell’elettorato: è questa la ricetta indicata efficacemente in sintesi durante la chiusura della discussione da Damilano. Senza questi tre elementi non si potrà avere un vero cambiamento nella concentrazione del potere in Italia.
Silvestro Bonaventura