Qual è il confine tra la protezione (della privacy, della vita) delle persone e il diritto d'informare? I problemi etici nel giornalismo si ripropongono a cadenze regolari (e sempre più brevi). Lo abbiamo visto, la settimana scorsa, con la strage di Newtown dove un ragazzo, Adam Lanza, ha ammazzato la madre insieme ad altre 25 persone, la maggior parte delle quali (20) erano dei bambini, prima di togliersi lui stesso la vita. Come succede puntualmente ad ogni evento simile, non appena è trapelato il nome di un primo indiziato diversi media sono corsi a spulciare i social per ottenere maggiori informazioni e magari qualche foto. Ma non sempre il primo nome a uscire è quello giusto e così capita che qualcuno che non c'entri nulla (nel caso specifico, il fratello del killer) si ritrovi gettato sulla prima pagina dei maggiori quotidiani mondiali.
Questo è uno dei casi più frequenti, ma proprio negli ultimi giorni alcuni giornalisti si sono ritrovati a doversi confrontare con un altro problema etico, ovvero quello del blackout informativo durante il rapimento di un collega in teatro di guerra.
Il corrispondente della Nbc Richard Engel ed il suo staff sono stati rapiti in Siria e tenuti prigionieri per cinque giorni, riuscendo a scappare solo ieri mattina quando, durante l’ennesimo trasferimento, sono stati liberati dai ribelli siriani.
Engel ed i suoi collaboratori, Kooistra (cameramen) e Balkiz (produttore), erano appena arrivati in Siria e stavano viaggiando scortati dai ribelli in una zona che avrebbe dovuto essere sotto il loro controllo quando l’auto è stata assalita da quelle che poi loro stessi dedurranno essere forze lealiste al Presidente Bashar al-Assad. Quindici uomini armati sono sbucati da dietro la boscaglia, li hanno fatti uscire dalla macchina, legati, incappucciati e gettati in un camion che avevano parcheggiato sul ciglio della strada per portarli poi in un posto sicuro.
Nei giorni successivi al sequestro la Nbc aveva pregato i media di non divulgare notizie al riguardo, evidentemente per ragioni di sicurezza. Richiesta rispettata da alcuni, ma non da altri.
Gawker, ad esempio, ne ha scritto lunedì con uno dei pezzi più ripresi sui social media e Joon Cook, il giornalista che ha seguito la vicenda, ha motivato così la sua scelta (nel 2008 il “blackout” fu richiesto anche dal New York Times, a seguito del rapimento di David Rohde):
La ragione fondamentale del blackout ci è stata data in una conversazione off-record, quindi non posso dirvi qui le loro argomentazioni. Ma vi dirò questo: nessuno mi ha detto niente che indicasse una specifica, o anche solo generale, minaccia alla sicurezza di Engel. Nessuno mi ha detto: “Se tu ne parli, sappiamo che o sospettiamo che possa succedere X, Y o Z”. È stato tutto molto più vago e generale di questo. (…)
In più, in pratica, il blackout non c’è stato. Xinhua e Breitbart hanno pubblicato i loro resoconti in inglese. Vi erano circa 100 post al minuto su Twitter sull’argomento. Era, insomma, una situazione in cui le informazioni erano facilmente accessibili su Internet (…)
In un articolo sul caso, Poynter (che ha rispettato il blackout) riporta i tweet di Jeremy Scahill, responsabile per The Nation della sicurezza interna, in cui il giornalista scrive prima che: «Quando la famiglia/datore di lavoro di un giornalista scomparso chiede ai media il blackout, questo deve essere rispettato» per poi aggiungere che «ci possono essere delle trattative di cui altri media non sono al corrente e bisogna rispettarle. Possono voler significare la vita o la morte per il giornalista scomparso».
Per molto tempo, come sottolinea Dan Murphy del The Christian Science Monitor, quella del blackout è stata una pratica comune in situazioni del genere:
In alcuni casi troppo silenzio è pericoloso. Se i rapitori sanno che hanno tra le mani qualcuno di alto profilo, come Engel, e non girano notizie, potrebbero chiedersi se il loro ostaggio sia una spia che lavora sotto copertura giornalistica. In altri casi ovviamente la pubblicità può essere molto pericolosa. Ogni situazione ha le proprie particolarità. In questo caso sembra che la gente che lavorava a quella particolare situazione stesse cercando di guadagnare tempo affinché i ribelli trovassero il gruppo prima che questo si spostasse in un parte della Siria sotto il controllo del Governo
Ha ancora senso, nel 2012, con un'informazione veloce e globalizzata, chiedere il blackout informativo quando, come successo nel caso specifico, vari media non americani divulgano in maniera continua informazioni anche in lingua inglese? E quando anche su Twitter circolavano tranquillamente informazioni o richieste di chiarimento sul rapimento? E soprattutto è giusto che i media si prodighino di più «per proteggere i propri giornalisti che le altre persone» come, appunto, è successo nel caso della tragedia di Newtown?