Immigrazione e ruolo (svolto male) della stampa italiana: questo il tema al centro del panel tenutosi nella sala Baldeschi del Palazzo Bonucci, durante la seconda giornata del Festival Internazionale del Giornalismo, a Perugia.
Il “caso Italia” è stato il più che eloquente titolo dell'evento. Per quale motivo i giornalisti non hanno riportato i dati corretti sui flussi migratori dal mediterraneo che hanno interessato l'Italia? Perchè si sono limitati a riportare le cifre sparate a caso dal Ministero dell'Interno? Il Viminale aveva infatti preventivato, nei primi mesi del 2011, mezzo milione di arrivi. Secondo quanto ha riferito invece Laura Boldrini dell'UNHCR, prima ad intervenire nel dibattito dopo l'apertura di Emilio Fabio Torsello, gli immigrati arrivati in Italia lo scorso anno sarebbero soltanto 60 mila.
“La questione non è numerica, - ha proseguito Boldrini – il fenomeno va analizzato sotto un aspetto più ampio: quello della globalizzazione. I migranti sono portatori di valori, saperi, conoscenza. Questo viene oscurato dalla stampa italiana”. Dura quindi l'analisi fatta sul comportamento di giornali e televisioni italiane, che spesso subiscono l'influenza del ruolo fondamentale svolto dalla politica. “Si tende a definire clandestini – sempre la Boldrini – quelli che arrivano via mare. In realtà questi sono soltanto il 10-15% degli arrivi totali. E di solito sono quelli che arrivano in fuga da persecuzioni e violazioni dei diritti umani. E una volta arrivati, subiscono nuove offese”. Severa è stata anche la critica al modo in cui la politica ha gestito l'emergenza a Lampedusa. “L'unico centro ha una capienza da 800 persone. Il metodo migliore sarebbe stato il trasferimento immediato. Così facendo i lampedusani hanno subito un'invasione”.
Eric Joszef, penna di Libération, si è interrogato su quale sia il ruolo dei giornalisti. “Nostro dovere è essere intermediari, chiedere conto ai politici di quello che succede, capire perché succede e raccontare quello che accade dopo, dove vanno a finire questi immigrati”. Il giornalista ha affermato che i media francesi hanno “un approccio diverso al tema, ma spesso prendono comunque degli scivoloni. Non si rincorre la polemica dei politici, ma si cerca di analizzare con attenzione le vicende”. Eppure fino agli anni Settanta l'informazione in Francia assomigliava molto a quella in Italia. “Successivamente si è iniziati a interessarsi di zone di non vita, come le periferie di Parigi. Ci si è dati delle regole, tra cui quella di non citare la nazionalità dei protagonisti dei fatti di cronaca se la menzione non è rispondente ad un interesse pubblico”.
Proprio questa sottolineatura del giornalista francese ha fornito l'assist per la disamina conclusiva di Corrado Giustiniani, che ha esordito ironizzando sull'utilizzo di parole che fino a pochi anni fa erano normali, ma che da qualche tempo son diventate dispregiative. “A Sanremo '69 Iva Zanicchi cantava 'prendi questa mano, zingara' – ha affermato - e due anni dopo Nicola Di Bari cantava 'il cuore è uno zingaro'. Fino a pochi anni fa la RAI trasmetteva il programma La zingara. Potrebbe farlo oggi, con quello che rappresenta oggi il termine?". La disamina di Giustiniani si è basata quasi totalmente sui differenti modi che la stampa italiana utilizza per occuparsi di fatti di cronaca che trattano di personaggi extracomunitari o connazionali. “Se una persona muore investita da un'automobile,- ha affermato Giustiniani - dipende da chi è il conducente. Se questi è extracomunitario, la cosa è specificata nel titolo. Se è italiano, non viene nemmeno nominato e viene citata soltanto l'automobile”. Nel finale, anche una proposta: “Consegnare un becco nero, sulla falsariga del tapiro d'oro, al giornalista protagonista della maggiore cantonata. E consegnarla anche al direttore, visto che è responsabile di quello che pubblica il suo giornale”.
Roberto Rotunno