Isolamento, querele e bombe

Quali sono le nuove tattiche per tagliare le gambe al giornalismo indipendente investigativo? Quali strategie adotta un team per far fronte alle minacce? Queste le domande a cui hanno cercato di rispondere Cecilia Anesi, cofondtrice IRPI, Lorenzo Bagnoli, giornalista freelance, Claudio Cordova, fondatore e direttore Il Dispaccio e Drew Sullivan, cofondatore e direttore OCCRP. Il panel si è tenuto nel tardo pomeriggio al Centro Servizi G.Alessi in occasione della dodicesima edizione del Festival Internazionale del Giornalismo.

“Le minacce e le querele sono ormai diventate pane quotidiano” esordisce Sullivan “Molto spesso i nostri collaboratori vengono diffamati dalla stampa, altre volte riceviamo vere e proprie minacce legali, spesso infondate, che ci fanno perdere soldi e tempo. La linea difensiva che abbiamo deciso di perseguire come rete è la seguente: ogni volta che un giornalista viene minacciato chi ha lanciato questa minaccia deve affrontare un gruppo numeroso di giornalisti che rimpiazzeranno la persona lesa, portando a termine il suo lavoro”.

Cecilia Anesi, moderatrice dell’incontro, chiede a Lorenzo Bagnoli che tipo di minacce ha dovuto affrontare e che tipo di misure vengono prese in Italia a tal proposito. Prontamente risponde: “Il genere di querele che abbiamo ricevuto fin ora è ascrivibile al gruppo di querele temerarie, ossia querele in cui non è assolutamente chiaro quale sia la richiesta, che cosa ci sia di sbagliato nell’articolo scritto; spesso e volentieri basta aver nominato una determinata persona o un fatto ‘scomodo’.” “In alcuni casi” prosegue “Non viene chiamato in causa la testata giornalistica per cui lavoriamo ma l’autore dell’articolo; in questo modo le persone coinvolte siamo solamente noi come singoli, come freelance, e questo  tipo di querela, in un contesto di precariato come quello italiano, ha un effetto moltiplicatore”. Infatti, partendo dal presupposto che la credibilità del giornalismo è bassa, risulta decisamente più semplice colpire il singolo giornalista se l’ambiente che lo circonda non ha una reputazione tale da poterlo proteggere.

Claudio Cordova, che da anni si occupa di cronaca nera e giudiziaria in Calabria, racconta la sua esperienza come reporter che si occupa di criminalità organizzate, in particolare di ’ndrangheta. “Quando ci troviamo ad indagare sulle attività di criminalità organizzate calabresi il principale rischio è quello di essere colpiti con tattiche subdole, apparentemente legali. È a questo punto che si scaturisce ciò che di peggio può succedere ad un giornalista: l’autocensura. Io personalmente ho ricevuto una richiesta di risarcimento di oltre 2 milioni di euro”.

Drew Sullivan parla della morte, avvenuta circa due mesi fa, di Jan Kuciak, un giovane giornalista investigativo slovacco, assassinato da un singolo proiettile. “Quando Jan è stato ucciso ci siamo chiesti cosa fosse giusto fare, quale fosse la linea da mantenere; Io e il mio team abbiamo deciso di pubblicare il pezzo a cui Jan stava lavorando anche se non era completato, firmando l’articolo con il nome della testata per preservarci”.  Il caso di Jan è stato disarmante: un giornalista che lavorava sui dati diventato una pedina da eliminare. “Ho sempre pensato che l’unica protezione per un giornalista fosse fare il giornalista, quindi concludere il suo lavoro, pubblicarlo e vedere se potevamo coprire altre storie. ‘Se un individuo cade, 21 altre persone copriranno questa persona’ è la nostra linea” termina Sullivan.

Lorenzo Bagnoli conclude il panel segnalando due organizzazioni nate con lo scopo scopo di monitorare minacce e gravi abusi a danno di giornalisti compiuti per oscurare notizie di interesse generale per l'opinione pubblica:

-Ossigeno per l’informazione
-Index on Censorship

 

Virginia Morini