La scomoda eredità lasciatagli da Gianni Brera, gli esordi in Gazzetta dello Sport non appena uscito dal liceo classico, i suoi 27 anni della rubrica «Sette giorni di cattivi pensieri» a La Repubblica: è un Gianni Mura che si racconta a tutto tondo, con la sua inconfondibile vena ironica, quello che si è raccontato al pubblico del Teatro Pavone nella seconda giornata di appuntamenti del Festival internazionale del giornalismo di Perugia. Intervistato da Giuseppe Smorto, condirettore di repubblica.it, il cronista sportivo de La Repubblica ha intrattenuto la platea con numerosi temi.
Nata nel 1976 come rubrica esclusivamente sportiva, «Sette giorni di cattivi pensieri» ha finito per estendersi anche alla politica, al costume, alla società: ventisette anni durante i quali, secondo Mura, il giornalismo sportivo è caduto vertiginosamente fino a sprofondare nella sottocultura. In particolare, accusa Mura, rinuncia a qualsiasi forma di critica e soprattutto si piega alle logiche di mercato e alle idee (sbagliate) dei manager che fanno uscire i giornali sempre più a loro immagine e somiglianza. «Non c’è più attenzione alla scrittura, non ci sono inchieste, né pezzi di rottura: la qualità si sta abbassando e oggi manca chi sa raccontare. Non a caso, se parliamo di letteratura sportiva dobbiamo rifarci alla scuola sudamericana di Galeano e Soriano o a quella britannica di Nick Hornby». Quando gli si ricorda che da sempre viene definito l’erede di Gianni Brera, si irrigidisce: «Abbiamo in comune la somiglianza fisica e parte del dialetto, così come il passato a Repubblica. Ma non potrò mai raggiungere il suo stile. Vederlo lavorare era uno spettacolo».
Nell’incontro Mura manifesta una certa avversione verso le nuove tecnologie: famoso per continuare a scrivere i suoi pezzi con una vecchia macchina anziché con il ben più pratico computer, dice che la sua visione di giornalismo si limita a quello della carta stampata. Quanto ai blog, «non ho nulla in contrario ma i commenti che si trovano in rete sono una vera e propria autostrada dei deficienti: quando ho bisogno di riacquistare un po’ di autostima, vado a leggermeli per sentirmi meglio». Di fronte allo scenario dei giornali che verranno letti sull’iPad, poi, si domanda: «E cos’è, la moglie dell’iPod? Per me il giornale deve essere cartaceo, altrimenti diventa un cinegiornale o un videogiornale». E infine una stoccata ai grafici: «I giornali sono in mano a questi uomini armati di righello: forse oggi i quotidiani saranno più belli, ma io preferisco badare alla sostanza anziché alla vetrina».
Particolarmente apprezzato dal pubblico l’intervento a proposito delle prospettive per gli aspiranti giornalisti: «Se sei bravo e non sei raccomandato, non trovi nessuna porta aperta. Eppure ci sono giovani validi che, però, non trovano sbocchi. Il sistema è decisamente anticostituzionale e purtroppo oggi il mondo è cambiato. Sapete come sono entrato in Gazzetta? Il giornale andava a cercare possibili collaboratori nei due licei classici milanesi con cui aveva la convenzione, chiedendo dei due alunni più bravi in italiano. Magari non ci capivano nulla di sport, ma sapevano scrivere: si partiva dalla qualità della scrittura. E i più anziani ti insegnavano davvero tanto. In questo mestiere è fondamentale saper scrivere, ma anche saper ascoltare ed essere sensibili: per scrivere bene bisogna leggere gli altri, confrontarsi con loro, avere dei punti di riferimento». Il suo giornale ideale? «Poca politica e più attenzione alle cose che accadono, anche solo belle notizie. I quotidiani di oggi sono troppo vicini al Palazzo e troppo lontani dai cittadini».
Infine una notizia: cessato il suo rapporto di esclusiva con La Repubblica, dal prossimo anno Gianni Mura presenterà il «Processo alla tappa» del Giro d’Italia alla Rai.
Simone Pierotti