L’odio online: violenza verbale e ossessioni in rete

con Marco Pratellesi (L’Espresso), Antonio Sofi (Gazebo Rai 3), Giovanni Ziccardi (Università degli Studi di Milano)

Al Festival Internazionale del Giornalismo è stato presentato il libro di Giovanni Ziccardi (“un manuale di cultura contemporanea”, secondo Pratellesi) sul tema dell’odio online. Durante l’incontro l’autore ha spiegato il fenomeno diffuso dell’hate speech a partire  dalle origini storiche risalenti al secondo dopoguerra. “Il problema fondamentale è chiedersi se ci sia necessità di regolamentarlo o se regolamentandolo si produrrebbe un effetto controproducente, danneggiando ulteriormente le vittime dell’odio”, ha spiegato Ziccardi. Le risposte adoperate dagli ordinamenti al fenomeno dell’hate speech sono distinguibili in due modelli: il modello USA, di non-interferenza del governo sul mercato delle idee e il modello europeo, caratterizzato dalla predisposizione di contromisure a livello normativo. È evidente tuttavia che questo secondo modello possa portare a distorsioni data la discrezionalità del concetto di espressione d’odio, sfociando eventualmente in repressione, ha spiegato l’autore. La questione è oggi complicata dall’avvento di internet che fornisce una diffusione enorme ed un’enorme velocità. Ma “la barriera non è tecnologica ma culturale, la cultura è stata influenzata dai social media che hanno cambiato il modo di comunicare nel giro di dieci anni e noi non siamo in grado di gestire questo cambiamento”, ha precisato Pratellesi. D’altro canto, è stato osservato, non ci sono dati per poter stabilire se l’avvento di internet abbia aumentato l’odio, nonostante la percezione vada in tal senso. L’odio è stato condizionato da internet sotto quattro profili, come illustrato nel libro di Ziccardi: amplificazione del danno, per la risonanza che ottiene ciascuna espressione d’odio; persistenza, in quanto i contenuti di odio non sono eliminabili da internet anzi tendono a riaffiorare; la percezione dell’anonimato, che induce a perdere le inibizioni (disinhibition effect); la normalizzazione dell’odio, in quanto “oggi non c’è argomento che non sollevi odio.”

Ziccardi ha infine raccontato un aneddoto risalente al suo periodo di collaborazione con Il Fatto Quotidiano quando una sua recensione di un libro poco conosciuto ottenne numerosi commenti d’odio nonostante il tema non fosse divisivo. Per combattere l’hate speech “è fondamentale che ogni giornalista mantenga il proprio stile e il proprio tono di voce anche su internet senza snaturarsi, magari gestendo in prima persona la pubblicazione dei proprio contenuti sui social”, ha concluso Ziccardi. Sul finire dell’incontro Antonio Sofi ha citato alcuni esperimenti legati all’hate speech quali Tay, il bot creato da Microsoft rivelatosi nazista e omofobo proprio in quanto condizionato dagli haters e Sweety, un bot bambina realizzato da Amnesty,  introdotto nelle chat per individuare i pedofili. È emerso tuttavia quanto a livello concreto tuttavia siamo ancora lontani dal limitare l’odio online con questi strumenti.

Leonardo Vaccaro