Panel: Trushar Barot, Matt Cooke, Mandy Jenkins, An Xiao Mina
Possono social network chiusi, come WhatsApp, Snapchat, WeChat, ostacolare fino a ostacolare i media nel raccoglimento di materiale postato da utenti sui social network? E’ questa la domanda a cui Trushar Barot (mobile editor presso la BBC World Service), Mand Jenkis (Storyful), An Xiao Mina (a capo del product team Meedan), moderati da Matt Cooke ( Google News Lab UK) hanno provato a rispondere oggi, Venerdì 8 Aprile presso il centro servizi G. Alessi.
I network chiusi sono per l’appunto quelle piattaforme digitali che non sono aperte al pubblico, al contrario di social media come Facebook, Twitter e Instagram. Esempi di social network chiusi sono dunque, WhatsApp, usato in particolare dalla BBC, e WeChat, social network privato estensivamente usato in Cina e oggetto dell’interesse di An Xiao Mina.
“L’idea di provare a sfruttare i social network chiusi è nata quando ci siamo resi conto che buona parte dei contenuti postati su Twitter e Facebook non fosse originale, ma bensì condiviso da utenti che si limitavano a ripostare materiale ricevuto privatamente tramite uno di questi network,” spiega Mandy Jenkins. “Ci siamo resi conto di ciò quando contattando l’utente che aveva postato il contenuto su una piattaforma pubblica, siamo venuti a conoscenza del fatto che in realtà la loro fonte fosse un loro amico che a sua volta aveva ottenuto il materiale da un’altra persona di sua conoscenza, la quale aveva condiviso tale materiale su Whatsapp o altri network simili,” continua Jenkins.
La BBC invece, ha realizzato l’enorme potenziale di fonte di notizie e immagini rappresentato da questi social network nel 2011, quando scoprì che molte persone tendevano a condividere più contenuti sulla Blackberry Chat che sui social media. Di lì l’idea di creare dei gruppi WhatsApp a nome dell’organizzazione su cui gli utenti potessero condividere materiale in prima persona. Questi gruppi infatti, si sono resi particolarmente utili per reperire materiale per coprire breaking news. “Durante la tragedia del terremoto in Nepal, WhatsApp ci ha fornito l’80% dei contenuti pubblicati in quel giorno sul live blog,” rivela Barot. “WhatsApp funziona soprattutto in questi paesi, perché tutto quello di cui si ha bisogno è un numero di telefono e Internet, al contrario di Facebook e Twitter che richiedono un’email che non tutti hanno.”
Mina e Jenkins continuano poi sostenendo come, una volta sorpassati i primi ostacoli dettati dall’accesso pratico a determinati gruppi, i social network privati possano rivelarsi un ottimo modo per costruire e rafforzare la fiducia con gli utenti. “Ricercare e verificare fonti su questi gruppi prende sicuramente molto tempo, ma bisogna iniziare a lavorare sul concetto di fiducia. Costruire un rapporto a tu per tu con le proprie fonti è una parte essenziale e deve avvenire ancor prima dello scoppio della notizia,” insiste Mina. Continua poi, spiegando come formare dei gruppi WhatsApp o WeChat a capo dei quali vi sia un singolo giornalista più che l’organizzazione sia un modo più efficace di ottenere la fiducia degli utenti: “Le persone hanno bisogno di associare il nome e il numero ad un volto. In questo modo è più facile per loro fidarsi del singolo giornalista e contattarlo piuttosto che affidarsi ad un gruppo in cui l’amministratore è l’organizzazione stessa.” La comunicazione è inoltre, più informale ed aiuta a mettere gli utenti più a proprio agio.
Tuttavia, se i network chiusi possono ancora essere usati come mezzo di newsgathering social, molti di questi non sono delle piattaforme ottimali per la distribuzione delle notizie né per la raccolta di dati analitici. Un’altra limitazione, sottolinea Jenkins, è la difficoltà di centralizzare tali gruppi. “Alle volte abbiamo dei gruppi WhatsApp basati in Irlanda quindi dobbiamo alzare la cornetta e chiamare Dublino per vedere se hanno ricevuto materiale utile. Logisticamente ci sono ancora delle difficoltà.”
Nonostante queste limitazioni, però, la maggior parte del pubblico in sala risponde convinto alzando la mano alla domanda che dà il titolo all’evento stesso: la crescita di tali network non decreterà la fine del newsgathering social.
Ludovica Tronci