La crescita del live journalism

Chi ha detto che il giornalismo si fa solo sul posto o in redazione? Oggi al Festival di Perugia sono state presentate alcune storie di successo di giornalismo fatto in diretta davanti (e talvolta insieme) al pubblico in Francia, Olanda e Danimarca.
Live magazine – ha raccontato la fondatrice Florence Martin-Kessler – ha introdotto nel 2015 a Parigi (poi anche in altre città francesi e recentemente anche in Belgio) un format nato negli Stati Uniti. Raccontare in 100 minuti una dozzina di storie inedite in teatri da 200/700 posti, con un sottofondo musicale. Nonostante i molti consigli di lasciar perdere ricevuti, oggi l’azienda – che si finanzia con i biglietti e con le pubblicità, anch’esse dal vivo – è in attivo e in espansione. Le storie sono raccontate da giornalisti, da chi le ha vissute e qualche volta perfino da professori di storia.
Molto simile il percorso dei danesi di Zetland (da cui è poi nato un esperimento “cugino” in Olanda), presentati dal cofondatore e amministratore delegato Jakob Moll. Partiti nel 2016 con lo scopo di fare giornalismo divertendosi, si sono fatti conoscere offrendo inizialmente serate gratuite molto partecipate, dove le storie sono raccontate accompagnandosi con musica dal vivo e può perfino capitare che un giornalista possa improvvisarsi direttore d’orchestra. Il loro video dimostrativo “Zetland live” si può trovare su Youtube.
In continua crescita anche l’olandese De Baile, la cui sede si trova ad Amsterdam in un ex tribunale abbandonato che solo una lunga occupazione ha salvato dall’abbattimento, destinandolo ad una funzione culturale. Per questo il 10% del suo bilancio è costituito da sovvenzioni della città e la redazione ha deciso di tenere molto bassi i prezzi dei biglietti per le performance – da 7,50 a 10 euro – autofinanziandosi in gran parte grazie al bar-ristorante, dove è possibile trovare molti giornali internazionali, «come nei vecchi caffè di Vienna». Propongono tre eventi dal vivo al giorno e puntano essenzialmente al pubblico dei 18enni: «una fase della vita – ha detto il direttore Yoeri Albrecht – in cui è essenziale venire a contatto con idee nuove».
Un’altra esperienza interessante è stata raccontata dal giornalista e scrittore olandese Joris Luyendijk: serate dove si svolgono molte interviste contemporaneamente, visibili su maxischermi e che il pubblico può ascoltare una alla volta grazie ad una consolle e ai microfoni direzionali. In altri casi la formula è invece più tradizionale ma facendo uscire il giornalismo dalla sua “bolla” liberal e portando la redazione nei quartieri che votano in maggioranza per i partiti populisti. Lì il pubblico è libero di fare quelle domande che un cronista o un esperto non farebbero mai perché considerate troppo semplici o perfino stupide. Oggi – si è rammaricato Luyendijk – la maggior parte delle persone percepisce i giornalisti (perfino quelli appartenenti a minoranze etniche) come un gruppo sociale privilegiato, affine ai politici, e quindi non degno di fiducia. In alcune serate infatti è evidentissima una totale differenza di opinioni tra lo staff e la stragrande maggioranza del pubblico.

Di Alessandro Testa