La sfiducia nei media e l’ascesa dei social come editori

Questa settimana in RoundUp: il Digital News Report del Reuters Institute conferma il trend in ascesa di mobile e social come strumenti di lettura principali, e quello in discesa della carta stampata - secondo la ricerca, sempre meno credibile e rilevante. Ma se i social condizionano produzione e distribuzione giornalistica, si può ancora considerarli "piattaforme", oppure dei veri e propri "editori"? Un dibattito, e alcuni esempi - dal nuovo sito di Reported.ly a The Counted del Guardian.

di Vincenzo Marino

La (s)fiducia nei media tradizionali

Ogni anno il Reuters Institute of News pubblica un report sullo stato del giornalismo, e più in particolare sulle abitudini di lettura degli utenti. I risultati della ricerca per il 2015 (che trovate qui in pdf) sono usciti questa settimana, e come sintetizza Mathew Ingram su Fortune contengono sia buone che cattive notizie per chi opera nel settore dei media. “But mostly bad”.

Uno dei dati più rilevanti che emerge dallo studio è quello che riguarda il confronto fra media tradizionali online e digital native (esempio, il sito del New York Times da una parte, testate come BuzzFeed o Huffington Post dall’altra): se in alcuni paesi come Germania e Regno Unito a prevalere sarebbero ancora i primi, in altri come USA e Giappone i secondi sono quelli preferiti dai lettori. A conferma del fatto che regole univoche, nello scenario digitale, sono ancora lontane dall’essere trovate.

Le notizie peggiori, per la ricerca, arrivano però soprattutto per i media tradizionali, per i giornali “di carta”: se da un lato può già sembrare preoccupante l’ormai bassissima predisposizione a pagare per le notizie rilevata dal report, dall’altro alcuni grafici in particolare mostrano come la crisi della carta stampata sia tutt’altro che provvisoria e meramente economica.

La stampa, infatti, fra i media principali è considerato il meno affidabile, il meno aggiornato, il meno “profondo”, sia prendendo un campione generale (composto dai lettori di UK, Germania, Francia, Spagna, USA e Irlanda), sia limitando la ricerca agli under 35.

Secondo George Brock le ragioni di questa crisi avrebbero a che fare anche con la bassissima fiducia riposta dai cittadini nei confronti delle proprie classi dirigenti e politiche: in questo senso, i pessimi numeri dei media a stampa - evidenzia Brock - si fanno ancora più pesanti in quei paesi (come USA, Francia, Spagna e Italia) nei quali una porzione molto significativa dell’elettorato si rifiuta ormai di essere informata su ciò che succede sul piano politico.

"Trust in the news media, or lack of it, is inextricably bound up with the credibility of the political elite"

Inoltre, come fa notare Felix Richter su Statista, sono sempre meno le persone che considerano i “print media” generalmente rilevanti, specie se messi al cospetto di una concorrenza incrollabile come quella della tv, o agguerrita e in forte ascesa come quella dell’offerta online e social.

Il mobile e i social che “plasmano” il giornalismo

Da questo punto di vista, è ormai evidente come il settore mobile domini - o sia destinato a dominare - l’intero panorama. Il dato che emerge dal “Digital News Report” 2015 conferma infatti i numeri di cui avevamo parlato qualche settimana fa, ossia il crescente utilizzo degli smartphone come strumento di informazione: più del 65% degli utenti di strumenti mobile raggiunti dal sondaggio di Reuters ammette di leggere le notizie dal proprio dispositivo almeno una volta alla settimana. Per gli under 35, il telefono diventa addirittura il principale strumento di lettura per il 40% degli intervistati.

Alcune testate, non a caso, da tempo si stanno preparando per uno switch che appare sempre più imminente - specie a giudicare dai tassi di crescita del consumo di news da mobile da parte dei più giovani

Questa settimana, per esempio, il Guardian ha presentato il Guardian Mobile News Lab, un progetto di ricerca con base nella redazione americana - costruito grazie ai 2,6 milioni di dollari ottenuti da una borsa di studio messa a disposizione dalla Knight Foundation - che si dedicherà alla ricerca e alla sperimentazione di nuovi modelli di costruzione e distribuzione delle notizie su device mobile.

Distribuire le notizie su dispositivi del genere, tuttavia, significa principalmente lavorare con e su strumenti come i social network. Se il trend della lettura su mobile è così in espansione, infatti, il merito è quasi esclusivamente da attribuire ai social, specie se si tiene conto del fatto che, via telefono, le notizie vengono lette principalmente da browser mobile, da quelli integrati nelle app dei social network, o dai social stessi - e non proprio dalle applicazioni offerte delle testate.

Non stupisce infatti il dato che vedrebbe in Facebook la risorsa per notizie principale per oltre il 40% delle persone intervistate. Emily Bell, commentando i risultati della ricerca sul sito del Reuters Institute, prova a trarre alcune conclusioni. Spiega Bell: se per anni, in tempi di citizen journalism e web 2.0, ci siamo chiesti chi fosse il giornalista e cosa lo rendesse tale, forse oggi è finalmente arrivato il momento di chiedersi: “who is a publisher?”, chi è l’editore?

Le testate, infatti, sono dovute in qualche modo scendere a patti con piattaforme come quella di Zuckerberg: media company intere sono state plasmate - e hanno fatto le proprie fortune - attorno a modelli costruiti sulle esigenze dei social e dei suoi numerosissimi, indispensabili utenti. L’effetto però che ne è scaturito, sintetizza Bell, è che da semplici piattaforme ricche di preziosi lettori da intercettare, servizi come Facebook stanno in realtà “modellando il giornalismo”.

Quello della “dipendenza da Facebook” è un tema che abbiamo più volte affrontato. Tuttavia i dati sull’utilizzo dei social per la consultazione di notizie, come visto, si fanno sempre più inequivocabili, e gli episodi che possono animare la discussione - a li là degli accordi fra Palo Alto e editori - non mancano. Sempre Mathew Ingram questa settimana cita il caso del fotoreporter Jim MacMillan, che si è visto cancellare una foto sul proprio profilo senza alcuna apparente spiegazione.

(Update: Check my latest comment below.)I’ve been scrubbed.Last month, I happened upon the scene after a woman was...

Posted by Jim MacMillan on Sunday, June 14, 2015

“Come azienda privata, Facebook ha tutto il diritto di scegliere o censurare ciò che vuole” - ricorda Ingram. “Ma cosa succede quando un network del genere si mette in testa di diventare una piattaforma per il giornalismo?”

Who’s the publisher?”

Reported.ly, la testata social oriented diretta da Andy Carvin e pubblicata dal gruppo di Pierre Omydiar FirstLookMedia, sta cercando in qualche modo un compromesso. Ne scrive questa settimana Justin Ellis su NiemanLab.

L’idea - come visto - era quella raccogliere e offrire informazione su vari stream social, in modo diverso l’uno dall’altro. Per riuscire però a uscire dal circolo dei “Twitter-obsessed”, e raccontare storie in maniera meno frenetica fissando dei punti e offrendo un quadro leggibile, Reported.ly ha lanciato da poco un proprio sito, che raccoglie il materiale social prodotto, cura delle rassegne e approfondisce alcuni topic specifici, alzando la longevità dei contenuti - che sui social non è generalmene altissima.

Alla domanda “Who’s the publisher?” di Emily Bell, dunque non è facile rispondere. Di certo un aggiornamento in più per arricchire il dibattito, e forse alterarlo in maniera decisiva, proviene dall’ultimo keynote di Apple. Tra le integrazioni previste nel nuovo sistema operativo per iPhone, infatti, è comparsa una feature chiamata Apple News: una specie di Flipboard, si è detto inizialmente, che aggregherà il feed di alcuni media partner.

Questa settimana, però, si è scoperto che Apple stessa cerca editor in grado di aggregare editorialmente le news da inserire nell’applicazione, passando così dalla creazione di una specie di giornale basato su algoritmi e RSS, ad una cura della pagina ed un newsgathering propriamente giornalistico, “umano”. Per molti la mossa è suonata come una “discesa in campo” nel territorio giornalistico da parte dell’azienda di Cupertino, qualcosa che non potrà non sollevare - si legge su 9to5 - delle domande cruciali.

Come ci si può fidare - è il dubbio di molti - della selezione giornalistica di notizie da parte di un’azienda, che può avere tutto l’interesse a privilegiare alcune fonti o alcune notizie, e glissare su altre? Aggregatori come Flipboard prevedono un minimo di selezione editoriale, ma - precisa Marci McCue, Head of Marketing di Flipboard - il centro della curation è affidato all’utente stesso, che crea magazine e contribuisce a quelli altrui, costruendo una aggregazione collettiva e plurale.

La costruzione di storie partendo dal contributo degli utenti/lettori è al centro di un altro dei programmi lanciati dal Guardian di questi giorni: si tratta di The Counted, un progetto interattivo partito nei primi di giugno col quale il giornale invita i propri lettori a costruire insieme ai giornalisti una sorta di database per censire tutte le morti causate dalla polizia.

Ne parla questa settimana la Audience Director di Guardian US Mary Hamilton: su The Counted è possibile segnalare nomi, foto, informazioni di ogni tipo, sulle quali poi i reporter della testata lavoreranno per verificarne la bontà e portare alla luce queste storie, costruendo così un modello di giornalismo “crowdsourced” basato su reti e connessioni così vaste sulle quali un giornalista, da solo, non avrebbe mai potuto contare.

La partecipazione di una comunità attenta, e l’ascolto da parte della redazione, è infatti l’elemento portante di questo esperimento: le centinaia di segnalazioni non sarebbero mai arrivate, spiega Hamilton, se non si fosse creato questo legame con i lettori, animati dalla predisposizione all’ascolto da parte della testata - anche su Facebook - e dalla prospettiva di prendere parte a qualcosa di utile.