Last men in Aleppo

con Firas Fayyad (regista) e Maria Gianniti (RaiNews)

La seconda giornata del Festival Internazionale del Giornalismo 2017 ha regalato, nello scenario della Sala dei Notari, uno degli eventi più attesi dell’intera edizione: l’incontro con Firas Fayyad, regista siriano di Last men in Aleppo, film-documentario premiato al Sundance Film Festival 2017. Il documentario, girato a partire dal 2013, racconta la vita quotidiana degli elmetti bianchi di Aleppo, durante i bombardamenti perpetrati dal regime siriano di Assad.

Il regista, intervistato da Maria Gianniti, ha raccontato la genesi del documentario, a partire dall’incontro con la realtà dei caschi bianchi avvenuto nel 2013. È stata la rabbia, a detta di Fayyad, ad indurlo ad evitare il solito cinico racconto dei numeri del dramma siriano, conducendo il suo documentario verso un diverso sentiero, quello delle storie delle persone, delle loro speranze, del loro coraggio. Così il regista ha seguito le vite di due caschi bianchi siriani, raccontando la quotidianità nella Aleppo martoriata dai bombardamenti, cogliendo i dettagli della loro vita e mostrando come, nonostante tutto, i caschi bianchi abbiano scelto di rimanere.

La storia di Last men in Aleppo è il racconto della vita, un esperimento sociale condotto osservando le scelte a cui sono sottoposti gli uomini, quando sono messi di fronte alla scelta tra il bene e il male; la via intrapresa dai caschi bianchi è quella della speranza, di chi nonostante tutto ha deciso di schierarsi dalla parte del bene.

Gli estratti di Last men in Aleppo hanno scandito l’intervista di Fayyad, rivelando immagini di una semplicità disarmante, che tuttavia colpiscono per la portata evocativa e risultano straordinarie per un contesto come quello dell’attuale Aleppo, in cui anche le attività più naturali sono divenute impossibili.

L’intervista di Maria Gianniti ha rivelato anche la storia personale di Firas Fayyad; dei due arresti da cui è stato interessato sotto il regime di Assad nel corso delle riprese di un documentario, e delle torture praticategli nelle carceri siriane. Così, dopo aver provato le violazioni dei diritti sulla propria pelle, ha raccontato Fayyad, è nato l’impulso a raccontare la Siria dalla parte dei Siriani, degli esseri umani, delle vittime, distinguendosi dal comune racconto della guerra dalla parte di Assad o dell’ISIS. Il giornalismo oggi dovrebbe fare lo stesso: non lavarsene le mani per questioni di oggettività, ma prendere a raccontare gli eventi con gli occhi delle vite comuni. In conclusione, il regista siriano ha rivelato la condizione reale della Siria attuale, in cui, finché non ci sarà giustizia, non farà ritorno. Lo stato di distruzione in cui versa attualmente la Siria richiederà circa 100 anni per rimarginarsi; ma ancor prima degli edifici sarà necessario ricostruire le anime, le vite, la giustizia. Solo allora sarà pronta a riaccogliere i suoi figli esuli.

Leonardo Vaccaro