Come raccontano le religioni i media? A questa domanda ha cercato di dare risposta un terzetto di giornalisti che vogliono superare certe barriere culturali stereotipate. Laura Silvia Battaglia, de Avvenire, Lamis Andoni, giornalista e scrittrice cristiana da Betlemme e Laith Mushtaq, giornalista di Al Jazeera mussulmano da Baghdad si sono incontrati nella mattinata di venerdì per parlarne nel centro servizi G. Alessi. E non è un bel quadro quello che ne è uscito. I tre hanno presentato le proprie esperienze e la loro visione sulla modalità con la quale i mezzi di comunicazione dividono, più che unire, mondi apparentemente lontani, separati dalla barriera religiosa.
«I Media operano una mistificazione dei conflitti di origine religiosa» esclama Lamis Andoni. La giornalista ha vissuto a Betlemme e conosce la realtà di quei posti. «Riporto degli esempi per comprendere questo fatto – continua Andoni -. Per molti Europei Betlemme è una città biblica. Dal 1967 è occupata da Israele, le terre stanno scomparendo perché Israele se ne appropria. La storia attuale di Betlemme, quindi, è una storia di colonialismo. La città oggi è abitata da Palestinesi mussulmani e Palestinesi cristiani che difendono la loro patria. Quando i mussulmani si rifugiarono presso la Chiesa cristiana della Natività, i Media non raccontarono che queste persone furono salvate, dissero che furono loro ad occupare la Chiesa».
«Il Governo americano – continua Lamis Andoni – prima dell’11 settembre, ha sostenuto l’occupazione israeliana e ha perpetrato delitti in Medio Oriente. L’11 settembre fu, poi, utilizzato dai governi dell’Occidente per demonizzare l’Islam e giustificare i bombardamenti. Il compito dei politici è di mistificare la realtà, quando il Cristianesimo, il Giudaismo e l’Islamismo, le tre grandi religioni monoteiste, hanno qualcosa in comune. Il compito dei giornalisti è, a mio parere, quello di promuovere l’umanità: se copriamo un crimine ne diventiamo complici».
Laith Mushtaq è un giovane giornalista mussulmano di Baghdad. Il suo intervento inizia con una massima: «Sono mussulmano, sono iracheno, ma sono anche un essere umano: questa è la mia identità». La sua esperienza ad Al Jazeera lo ha portato ad occuparsi dei cristiani in Iraq. «Al nord di Baghdad ci sono molti villaggi in cui vivono solo cristiani. E molti durante la guerra si sono spostati e sono andati lì. Nei parole scambiate con loro, la gente mi mostrava il proprio senso di insicurezza. Io non posso immaginarmi queste persone che, pur essendo irachene, non si sentano sicure. Come possiamo pensare che siano bombardate nel loro Paese? Nessuno in Iraq è d’accordo su quello che è avvenuto ai cristiani».
Secondo Mushtaq i Media utilizzano degli stereotipi per raccontare un conflitto costante tra il mondo islamico e il cristianesimo. «Prima di quanto accaduto alle Torri Gemelle, hanno presentato gli Islamici come gente stupida, come criminali. Pensano che abbiamo cammelli e viviamo in tende – prosegue Mushtaq -. Ciò può essere vero se ci riferiamo agli anni ’50. Oggi nessun college ti ammette se non conosci Marx o l’inglese. Siamo persone istruite, guidiamo auto. Dopo l’11 settembre Bush ha detto: “O siete con noi o contro di noi”. Vogliono farci credere che noi siamo noi e loro sono loro. Che c’è una differenza religiosa e quindi di conflitto. Io so che la mia legge mi ordina, nel caso in cui sposassi una donna cristiana, di permetterle di festeggiare in Chiesa qualora lo desideri. Devo, quindi, credere al Corano o ad un’ignorante che sfrutta una possibilità data dall’imperialismo per bombardare il Paese. Qualsiasi persona intelligente capisce che non può giudicare i cristiani ascoltando Bush. Io ritengo che ci sia una qualche comunanza tra le religioni: cerchiamo cosa ci unisce, non diamo sempre il microfono agli estremisti. E il ruolo dei giornalisti è fondamentale in quanto possiamo fermare l’odio tra le persone».
Valentina Pagliacci