Sala Priori, 18,30
Anche un buon giornalista, oltre che un cittadino attivo, deve conoscere e saper utilizzare al momento giusto il suo diritto di accesso all'informazione. È questo il primo insegnamento che si trae dall'incontro delle 18,30 con Ernesto Belisario e Guido Romeo nella Sala Priori dell'Hotel Brufani. Una sala piena e interessata, nonostante la concorrenza di Carlo Cracco, in contemporanea nello stesso hotel, non facesse ben sperare. A prima vista insolito, il connubio talento giornalistico e diritto dell'amministrazione può rivelarsi un'alleanza vincente al servizio della trasparenza.
Il breve intervento di Guido Romeo, giornalista e uno dei fondatori dell'associazione “Diritto di Sapere”, è una tagliente carrellata di notizie di cui non si può essere orgogliosi: protagonista ne è un'Italia che non si adegua agli standard di trasparenza, e una pubblica amministrazione che nel 73% dei casi non fornisce risposte soddisfacenti ai cittadini che chiedono informazioni. Nel 65% delle volte, il silenzio è l'unica “non reazione”.
Parlare di diritto di accesso all'informazione in Italia, spiega l'avvocato e Presidente dell'Associazione Italiana per l'Open Government, Ernesto Belisario, vuol dire innanzitutto partire dalla consapevolezza che “non siamo in uno Stato trasparente”.
Restrittività delle norme in materia di accesso alle informazioni e lentezza nella loro applicazione, sono solo due delle peculiarità che distinguono l'Italia da altri Paesi europei e dagli Stati Uniti. A queste, si aggiunge la scarsa conoscenza delle leggi anche tra i giornalisti, e il conseguente umiliante ricorso, molte volte, a “scatole di cioccolatini” per estrapolare delle informazioni dalle amministrazioni.
Ernesto Belisario disegna quindi un quadro dell'Italia molto distante dal mito della “casa di vetro”, perfettamente visibile al suo interno da qualsiasi punto di vista. Piuttosto, egli afferma, gli italiani sembrano non possedere affatto una propensione alla trasparenza.
Il decreto legislativo 33 del 2013 è stato il primo (e neppure esaustivo) passo verso un miglioramento del diritto di accesso all'informazione in Italia, disciplinato fino all'anno scorso dall'inadeguata legge del 1990. Finalmente, spiega Belisario, un giornalista non deve più dimostrare di possedere un interesse “personale, diretto, concreto e attuale” per accedere a informazioni riservate ma di pubblico interesse. Con tutti i suoi difetti, il decreto rappresenta la prima versione italiana di un Freedom of Information Act, che introduce il diritto di accesso civico alle informazioni, impone alle pubbliche amministrazioni un maggiore grado di trasparenza e le rende finalmente responsabili.
La conclusione è che la porta per l'accesso all'informazione, in Italia, è solo semiaperta. Ma abbandonare definitivamente l'idea che la trasparenza sia una concessione e non un diritto, è possibile. Soprattutto se si realizzasse il simpatico buon auspicio con cui i due relatori hanno concluso l'incontro, e cioè “la trasparenza crea dipendenza”.
Giovanna Carnevale