Giornalismo tradizionale e data journalism, questo la correlazione su cui si è discusso preso il Centro Alessi, insieme a Alessandro Accorsi (J-School City University London), Crofton Back (Bureau of Investigative Journalism), Abigail Fielding-Smith (Bureau of Investigative Journalism), Megan Lucero (data journalism editor The Times) e Emanuele Midolo (J-School City University London). Si è partiti dal presupposto che non esiste più un giornalismo puro, ma che si è trasformato in qualcosa di più complicato che senz’altro è degno di essere analizzato, nelle sue mille sfaccettature. Molto spesso quando si pensa al giornalismo investigativo si pensa al giornalismo all’antica, vecchio stampo, che tuttavia non è scomparso del tutto ma ha subito un’evoluzione: in quella che può essere definita l’età d’oro del giornalismo investigativo la fanno da padrone data base, mappe digitali e software per analizzare e raccontare un determinato fenomeno della società. I giornalisti hanno sempre utilizzato i documenti per trasformare una ricerca in “storia”, l’unica differenza, da ieri ad oggi, riguarda solo la scala e l’ampiezza dei data base. Se è vera l’importanza dei dati, del supporto informatico, è analogamente importante la presenza dei giornalisti tradizionali, ovvero di chi spulcia, verifica i documenti smascherando cosa c’è dietro. Tutto comincia da una fonte umana, che poi fornisce dati: le persone sono fonti cruciali di informazioni.
Nel data journalism, quindi, i giornalisti tradizionali usano dati per trovare storie, come ha evidenziato Megan Lucero: “Noi non usiamo il web, ma apparteniamo al tessuto del web. Abbiamo condotto molte analisi programmatiche che hanno portato dei cambiamenti reali”. Crofton Black e Abigail Fielding-Smith hanno riportato un esempio di inchiesta condotta sulle spese del governo americano, per capire nello specifico quelli che erano i 5 anni di transizione tra il Parlamento della difesa e delle società, nel settore bellico. Indagando sui dati, hanno costruito un database in modo da estrapolare le varie informazioni in maniera efficace. Risultato? Circa 8,3 milioni di registri da studiare, unico obiettivo quello di “sopravvivere” al big data: “Tanti dati da studiare, senza rimanere soffocati da essi!”.
Infine sono state sottolineate le difficoltà del giornalismo investigativo in Italia, senza però perdere le speranze: “Studiate e informatevi sempre”.
Rossella Fallico