Sala del Dottorato, ore 11.30
Lavorare all’estero sembra essere decisamente più facile e redditizio che in Italia. Questa mattina sei giovani professionisti hanno raccontato la propria esperienza, sia di formazione che di realizzazione professionale. Due le realtà descritte, quella londinese di Chiara Albanese (Investment Europe), Alessandra Bonomolo, giornalista freelance, James Fontanella-Khan (The Financial Times) e Antonio Fabrizio (InfraNews) e quella tedesca con Alessandro Alviani (giornalista freelance) e Tommaso Lana consulente comunicazione: quasi tutti hanno frequentato un scuola di giornalismo in loco, riuscendo così a perfezionare la conoscenza della lingua affiancandola alla ricerca di contatti e di opportunità, nonché di argomenti, fondamentali per la vita da “freelance oltrefrontiera”.
Alessandra Bonomolo è l’unica che non ha iniziato la professione con un percorso formativo giornalistico. «Sono arrivata a Londra quasi per caso e ho fatto diversi lavori prima di iscrivermi ad un corso per giornalisti. Io sono una freelance, e poiché l’Inghilterra è ampliamente coperta dal punto di vista mediatico, cerco sempre nuovi argomenti o nuove idee che possano interessare all’Italia. Devi cercare sempre, anche mentre stai lavorando. Ma non solo. Il mio punto forte sono la conoscenza delle lingue e l’aver sperimentato diverse forme di giornalismo, quella della carta stampata e quella della televisione».
Chiara Albanese ha poi sottolineato la differenza della retribuzione tra Italia ed estero. «In Inghilterrapagano in media 25 pens a parola, il che significa che si possono guadagnare sino a 200 o 300 sterline per un articolo. Chiaro che non ci si deve mai proporre gratuitamente perché si lancia un messaggio sbagliato: “costo zero, quindi valgo zero”. Il lavoro va retribuito, e bisogna sempre presentarsi come giornalisti, anche se si sta facendo ancora il Master».
James Fontanella – Khan e Antonio Fabrizio devono il loro successo soprattutto alle opportunità che la City University of Journalism di Londra gli ha offerto. Dopo il Master, entrambi hanno seguito un tirocinio che si è, nel giro di pochissimo tempo, trasformato in un contratto di lavoro. Chiaramente per loro è stata indispensabile anche la specializzazioni in materie economico finanziarie. «All’estero se sei bravo – ha detto Fontanella – Khan – le società investono su di te, perché pensano tu sia la futura “classe dirigente” del gruppo. La conoscenza della lingua è importante, ma tenete presente che ci sono editor e post editor che controllano e ricontrollano i pezzi, prima che questi vengano inviati. E non manca, da parte loro, la disponibilità ad investire sulla formazione linguistica». «Il giornalismo anglosassone – ha aggiunto Fabrizio – ha regole molto precise. Basta attenersi alla semplice sequenza delle “5W” e piazzare il contenuto della notizia nelle prime 25 parole».
Non basta conoscere l’inglese per lavorare in Germania. Tommaso Lana ha iniziato a studiare tedesco sin dai tempi delle elementari mentre Alessandro Alviani ha studiato in loco, dove il percorso di ingresso alla professione è completamente diverso. «In Germania – ha detto Alviani – si sceglie una “materia specifica” e la si applica al giornalismo. Come dire “scienze politiche e giornalismo”, “economia e giornalismo”. Terminati gli studi si inizia subito il praticantato. Se hai un’idea valida e sei in gradi di svilupparla, le redazioni tedesche ti prendono in considerazione. Devi però essere molto flessibile». «Non ci si trasferisce all’estero – ha concluso Lana – da un giorno all’altro, con una semplice valigia. Occorre partire con una minima preparazione e per la Germania è anche abbastanza semplice. Le emittenti televisive sono disponibili in streaming e ci si può abbonare ai giornali con Ipad e altri dispositivi. Studiate come funziona il settore editoriale del Paese in cui volete trasferirvi e poi partite: non dovete mai pensare che un’idea sia sempre da buttare. E poi, lo saprete già, il segreto per fare questo lavoro è imparare a fare le domande giuste».
Selvaggia Bovani