Emma Bonino è attualmente Vicepresidente del Senato della Repubblica, eletta nell'aprile 2008 nelle liste del Partito Democratico. Nella scorsa legislatura è stata Ministro per il commercio internazionale e per le politiche europee nel governo Prodi II e deputato della Rosa nel pugno. Fino alle elezioni politiche del 2006, era deputato europeo e ha fatto la spola tra le sedi di lavoro dell’Unione europea e Il Cairo. Ha puntualmente proseguito l’attività connessa al suo mandato parlamentare, ma al Cairo ha potuto frequentare lezioni di lingua araba, che le consentono oggi di seguire le trasmissioni di Al-Jazeera e di leggere i principali quotidiani del Medio Oriente. Dal marzo 2003 cura per Radio Radicale la rassegna della stampa araba, iniziativa unica nel panorama dell’informazione italiana. E’ divenuta così uno dei più autorevoli esperti e commentatori dei problemi dell’area, letti nell’ottica della militante che opera perché la democrazia si installi anche in quelle regioni evitando sia l’unilateralismo (pur necessario) delle “guerre preventive” sia l’esplosione di una pericolosissima “guerra di civiltà”.
E’ in quest’ottica e con queste urgenze che nel gennaio 2004, con l’Ong “Non c’è Pace Senza Giustizia” e in collaborazione con il governo dello Yemen, s’impegna nella organizzazione della prima conferenza intergovernativa regionale che sia mai stata tenuta nel mondo arabo su democrazia, diritti umani e ruolo della Corte Penale Internazionale. Nello Yemen, Emma Bonino già era venuta nel 2003: si stavano svolgendo elezioni legislative, e lei espresse al Presidente Ali Abdullah Saleh la sua preoccupazione perché la partecipazione delle donne alla campagna era assai inferiore a quella avutasi nel 1993. Ma il seme era gettato: oltre 850 personalità arabe e occidentali, 37 ministri, un centinaio di parlamentari ed esponenti della società civile di 25 Paesi arabi e africani hanno potuto discutere, nel corso della conferenza, temi mai affrontati prima in un consesso di questo tipo e livello. Tra i presenti, il Segretario Generale della Lega Araba, Amr Moussa, l’Assistente del Segretario Generale delle Nazioni Unite per gli Affari Politici, Danilo Turk, il Direttore Generale per le Relazioni Esterne della Commissione europea, Eneko Landaburu, il Procuratore della Corte Penale Internazionale, Luis Moreno Ocampo, il Segretario Generale dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, Abdelouahed Belkeziz, e rappresentanti di rilievo di associazioni ed organizzazioni non governative. La Conferenza si è tenuta sotto gli auspici dell’Unione europea, con i contributi della Commissione europea e dei governi di Canada, Francia, Germania, Irlanda (Presidente di turno dell’UE), Italia, Olanda, Regno Unito, Svizzera e dall’UNDP (United Nations Development Programme), e si è conclusa con la “Dichiarazione di Sana’a” sottoscritta da tutte le delegazioni presenti.
Emma Bonino e il Partito Radicale Transnazionale hanno progetti ancora più ambiziosi. Nel novembre 2002, in rappresentanza del governo italiano, Emma Bonino aveva partecipato a Seul alla seconda conferenza ministeriale della “Community of Democracies”, un’unione informale di Stati che, sulla base di un documento adottato dal “Convening Group”, si sono dati l’obiettivo di lavorare per la creazione di una “Organizzazione Mondiale della Democrazia”, al fine di rafforzare le libertà civili e politiche nel mondo. Nella crisi delle istituzioni sopranazionali (l’ONU in prima fila) occorre una strategia che dia forza alle democrazie per fronteggiare l’assalto dei fondamentalismi, del terrorismo, del ritorno ai nazionalismi del secolo scorso. E’ un impegno difficilissimo, ma che ogni giorno si dimostra più necessario. Sicuramente, su di esso si proietterà la maggiore attenzione dei radicali e della stessa Bonino, anche a partire dal Parlamento europeo. Esemplarmente, dal settembre al novembre 2002, Emma si era recata in Ecuador alla guida di una missione di osservatori che l’Unione europea aveva inviato per monitorare le elezioni presidenziali, legislative e amministrative.
L’impegno di Emma Bonino è di lunga data. Nel 1976 (il Partito Radicale presentava per la prima volta, nella sua già ventennale storia politica, proprie liste alle elezioni legislative italiane) veniva eletta deputato, assieme a Marco Pannella, Adele Faccio e Mauro Mellini. Aveva solo 28 anni. Era la stagione delle battaglie per i diritti civili ed Emma aveva collaborato con il CISA – il Centro per l’informazione, la sterilizzazione e l’aborto fondato da Adele Faccio - nelle cui cliniche clandestine, utilizzando il metodo Karman, si assistevano le donne che non avevano i mezzi per pagare i “cucchiai d’oro”, o per volare all’estero per poter abortire. Nel giugno 1975, dopo un periodo di latitanza, Emma Bonino si autoconsegnava alla giustizia per procurato aborto e faceva della campagna la priorità del Partito Radicale che già, l’anno precedente, aveva vinto il referendum per introdurre il divorzio in Italia. La sua presenza nel Parlamento italiano è stata, da allora, pressoché ininterrotta, e contrassegnata da iniziative, non solo a livello parlamentare, che le hanno procurato un forte credito politico ed umano. Così nel marzo 1999, nel corso di una assemblea dei radicali “per la rivoluzione liberale e gli Stati Uniti d’Europa” poteva accettare una sorprendente candidatura alla Presidenza della Repubblica. Alle elezioni europee del giugno di quell’anno era capolista della “Lista Bonino”, che otteneva l’8,5 % dei voti e sette deputati. Del Partito Radicale era stata eletta segretario politico nel 1993.
Mentre la sua attività “italiana” cresce e si sviluppa in vari settori (politica energetica, politica dell’informazione, politica della giustizia, ecc.) nel 1979 - “Anno internazionale del fanciullo” - viene pubblicato il rapporto UNICEF con stime agghiaccianti secondo cui, entro l’anno, sarebbero morti 40 milioni di persone - di cui il 40% bambini. Marco Pannella avvia la campagna contro lo “sterminio per fame nel sud del mondo”, chiedendo ai governi un intervento straordinario per le situazioni più urgenti e necessarie. Emma Bonino è da subito coinvolta nell’iniziativa: si apre così, alla parlamentare radicale, il panorama della politica “internazionale”. Nell’aprile 1981 insieme ai 113 Premi Nobel firmatari dell’appello radicale contro lo sterminio per fame, fonda l’associazione Food and Disarmement International per coordinare le attività e le iniziative internazionali su questo fronte. Nel febbraio 1986 ne diventa segretaria e lancia il Manifesto dei Capi di Stato in difesa del diritto alla vita” e della “vita del diritto”. Con Marco Pannella, nel corso di un incontro ufficiale, illustra a Papa Giovanni Paolo II le iniziative intraprese. Ma, nello stesso anno, promuove anche una campagna internazionale per la difesa dei diritti umani nell’Europa dell’Est, in particolare a favore dei “refuznik”, gli ebrei sovietici ai quali viene negato il diritto di emigrazione in Israele: nel gennaio 1987 manifesterà a Varsavia contro la dittatura Jaruzelski, in favore di Solidarnosc. Verrà arrestata ed espulsa.
Nel maggio 1991 la Camera dei Deputati italiana approva una mozione a prima firma Emma Bonino che impegna il governo a impedire la proliferazione delle armi convenzionali e in particolare delle mine antiuomo. Nel novembre 1993, Emma Bonino consegna al Segretario Generale delle Nazioni Unite Boutros Boutros Ghali le 25.000 firme raccolte in tutto il mondo in calce all’appello a favore dell’istituzione del Tribunale ad hoc per i crimini commessi nella ex-Jugoslavia. Nel giugno dell’anno successivo si svolge la visita del Dalai Lama in Italia: grazie ai radicali, verrà ricevuto dalle massime cariche dello Stato. E’una tappa dell’impegno di Emma Bonino per i diritti e la libertà del popolo tibetano e la democrazia in Cina. La sua attività internazionale ottiene nuove possibilità di espressione quando, nel gennaio 1995, è nominata dal governo italiano Commissario europeo per gli aiuti umanitari, la politica dei consumatori e la pesca. E’ la prima volta che un radicale ricopre un incarico con funzioni politiche esecutive. A distanza di due giorni dall’insediamento, vola nella ex Jugoslavia, denunciando l’impotenza dell’Europa e il disinteresse dell’ONU rispetto alla cronicizzazione della guerra nei Balcani e alla pulizia etnica in corso. Dopo la caduta di Srebrenica si reca a Tuzla, dove si stanno ammassando migliaia di rifugiati: solo donne e bambini. Solleva l’allarme circa il rischio - che si trasformerà in drammatica realtà - che gli uomini di Srebrenica vengano massacrati dalle truppe di Mladic: “Siamo di fronte a un vero e proprio genocidio; oltre ai 4.000 che mancano all’appello, ci sono 8.000 persone di cui non si hanno notizie. Sono scomparse”.
Dall’Europa continua a guardare all’Africa. I campi profughi che si stendono a perdita d’occhio nella regione di Goma in Zaire (2 milioni di Hutu ruandesi) sono la tragica eredità di un conflitto etnico culminato nel genocidio del 1994. Emma Bonino si reca nella regione nel marzo 1995 per sostenere il diritto dei profughi all’assistenza umanitaria e per ribadire l’impegno finanziario dell’Europa. L’anno successivo rappresenta l’Unione europea nella missione umanitaria congiunta Europa/USA nella regione dei Grandi Laghi; da parte americana partecipa Brian Atwood, responsabile dell’Agenzia statunitense per la cooperazione, USAID. L’analisi dei due maggiori donatori di aiuti umanitari converge: la crisi non è più sostenibile e richiede un intervento politico urgente dell’ONU o delle grandi potenze: purtroppo, le cancellerie non ascoltano l’appello. In occasione dello stesso viaggio, Emma Bonino visita la Somalia, un paese oramai allo stremo e nuovamente nelle mani dei signori della guerra (nei pressi di Kisimaio il convoglio umanitario della Bonino finisce sotto il fuoco dei guerriglieri di Aidid) e il Sud Sudan, violando l’embargo aereo imposto dal regime di Khartum, al fine di riavviare gli aiuti umanitari diretti a quelle popolazioni, vittime di una crisi “dimenticata”. Successivamente, Emma Bonio incontra l’Alto Commissario ONU per i rifugiati, Sadako Ogata, in visita a Bruxelles, per trovare una soluzione almeno momentanea per i profughi ruandesi. Nella tormentata regione dei Grandi Laghi ritorna nel novembre 1996 e gennaio 1997, mentre in Zaire è in corso un’offensiva pilotata da Ruanda e Uganda per abbattere il regime di Mobutu. Fra gli obiettivi militari è anche la rimozione dei campi profughi: sarà una gigantesca caccia agli Hutu, che si svolgerà senza testimoni nelle foreste tropicali. Emma difende il diritto di questi profughi all’assistenza umanitaria, ne cerca le tracce e ne ritrova circa 200.000 nel campo improvvisato di Tingi-Tingi. E’, dice, “un popolo che non esiste”. Nel corso di una missione umanitaria nel febbraio 1999 in Guinea Bissau, teatro di scontri armati dal giugno ’98 fra il governo di Nino Vieira e una “giunta” ribelle guidata dal Generale Mené, i due contendenti accettano di incontrarsi - per la prima volta a Bissau - in presenza di Emma Bonino. E’ un passo verso l’assenso definitivo ad un piano di pace bloccato da mesi. Successivamente, raggiunge in elicottero Freetown, la capitale della Sierra Leone assediata dai ribelli, dove incontra il Presidente Kabbah. Visita l’ospedale Connaught dove affluiscono a centinaia i civili di ogni età mutilati a colpi di machete dai ribelli del Revolutionary United Front. “La Sierra Leone costituisce oggi - dirà al ritorno in Europa - un monumento vivente alla stupidità della violenza dell’uomo. E’ la frontiera delle nuove barbarie, contro la quale non c’è altro antidoto che quello della ragione e della solidarietà umanitaria”.
Vari i quadranti, varie le occasioni di intervento ma sempre prioritario, per Emma Bonino, è l’impegno per la promozione dei diritti civili e delle libertà, senza le quali - come spesso ripete in assonanza con Amartya Sen - non c’è possibilità né speranza neanche di sviluppo economico: durante una missione umanitaria a Cuba, nel maggio 1995, aveva incontrato Fidel Castro e, in presenza del corpo diplomatico europeo, gli aveva sottoposto il grave problema del rispetto dei diritti umani, soprattutto quelli degli oppositori del regime. Alla partenza della missione, Castro libererà sei detenuti politici che erano stati oggetto di una campagna internazionale promossa dalla stessa Emma Bonino quando era Segretaria del Partito Radicale Transnazionale. In occasione dell’anniversario dell’occupazione cinese del Tibet, nel marzo 1996, partecipa alla prima marcia europea per la libertà del Tibet organizzata dal Partito Radicale Transnazionale. Ad agosto, in occasione di una missione ufficiale in Birmania, visita semiclandestinamente la leader storica dell’opposizione birmana, Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace 1991. Si reca anche in Thailandia per fare il punto sulla situazione dei rifugiati Karen a rischio di espulsione e in Cambogia per il problema delle mine antiuomo di cui il paese è infestato. Nello stesso mese incontra Sonia Gandhi a Nuova Delhi e discute della situazione dei diritti civili in Asia.
Prende così piede un progetto ambizioso, quello di poter sostenere la crescita della democrazia nel mondo attraverso strumenti anche giuridici atti a sanzionare l’uso della violenza e delle pratiche antidemocratiche più gravi. Nel 1998 Non c’è Pace Senza Giustizia e il Partito Radicale organizzano varie conferenze cui Emma Bonino partecipa attivamente (Parigi, Malta, Montevideo, Atlanta, Roma, New York, Dakar), per stimolare l’interesse dei Paesi delle Nazioni Unite verso l’istituzione di un tribunale penale con giurisdizione internazionale sui crimini di guerra. Nel giugno, finalmente, viene convocata una conferenza diplomatica ad hoc, che si terrà a Roma. In rappresentanza della Commissione europea, Emma Bonino svolgerà un ruolo di impulso politico e di mediazione: nonostante resistenze e difficoltà fino all’ultima ora, il 17 luglio 1998, 120 Paesi approvano lo Statuto del Tribunale Internazionale sui Crimini di Guerra. Il giorno dopo, assieme a Kofi Annan, Segretario Generale dell’ONU, può festeggiare in Campidoglio il successo della conferenza. Sempre in tema di sviluppo della democrazia, nel luglio 2003 organizzerà a Roma, Palazzo Giustiniani, una tavola rotonda sul ruolo della comunità internazionale nella promozione della democrazia e dello stato di diritto, cui prenderanno parte, tra gli altri, l’ex primo ministro del Sudan, Sadek el Mahdi, l’ex primo ministro del Bangladesh, Sheikh Hasina, l’ex ministro della sanità francese, Bernard Kouchner, Saad Eddin Ibrahim - intellettuale democratico egiziano - e il presidente della commissione diritti umani dello Shura Council (la Camera alta del parlamento yemenita) Mohamed Al-Tayeb.
Nell’ottobre 1998, riceve dalle mani del principe Felipe di Borbone il prestigioso premio “Principe delle Asturie”, e lo dedica alla leader dell’opposizione birmana, Aung San Suu Kyi. Aveva chiesto ed ottenuto di condividere il premio con un gruppo di donne attive nel campo dei diritti umani: così si ritroverà sul palco della premiazione con Fatiha Boudiaf, vedova del presidente algerino assassinato nel 1992, Olayinka Koso-Thomas, nigeriana che lotta da più di 15 anni per l’abolizione della mutilazione femminile, Graca Machel, Presidente della Commissione ONU per la difesa dei bambini vittime della guerra, Rigoberta Menchù, Premio Nobel per la Pace 1992, Fatana Ishaq Gailani, fondatrice del Consiglio delle Donne Afgane, e Somali Mam, Presidente dell’Associazione cambogiana che combatte la prostituzione infantile. Con molte di loro i contatti si sono rafforzati negli anni successivi su obiettivi legati alle campagne contro le mutilazioni genitali femminili, i diritti delle donne afgane e la lotta contro la prostituzione infantile.
Come Commissaria europea, Emma Bonino ha intanto dovuto fronteggiare complesse situazioni. Nel febbraio 1995, tra Canada ed UE esplode un contenzioso sui regolamenti per la pesca dell’ippoglosso. Un peschereccio spagnolo in acque internazionali viene minacciato a colpi di cannone dalla marina canadese. La Commissaria alla pesca definisce il fatto “un atto di pirateria internazionale”. Nonostante lo scontro diplomatico sia violento, Emma Bonino riesce a raggiungere nell’aprile, alla fine di un duro negoziato, un accordo con i canadesi. Poche settimane dopo, il Marocco interrompe gli accordi di pesca con l’UE. Dopo trattative, condotte nelle fasi più delicate direttamente con re Hassan II, a novembre giunge alla firma di un nuovo accordo. Nel febbraio 1997, Emma Bonino è nominata “Personalità Europea 1996”, un anno dopo Helmut Kohl, da una giuria presieduta da Jacques Delors, in riconoscimento del suo coraggio umanitario e della sua fede nel futuro dell’integrazione europea. Nel marzo, l’epidemia della “mucca pazza” mette in seria difficoltà la Commissione di Bruxelles. Il Presidente Jacques Santer decide di affidare ad Emma Bonino la gestione della crisi e le assegna la competenza in materia di sicurezza alimentare. Emma Bonino negozia con il Regno Unito misure severe per il controllo della malattia, evita la censura del Parlamento europeo e ristabilisce gradualmente la fiducia dei consumatori nel consumo della carne.
Entra nella sfera dei suoi interessi il Medio Oriente, su cui si addensano nubi minacciose, anche per l’inadempienza dell’Iraq rispetto ai moniti e alle sanzioni internazionali e della stessa ONU. Durante una missione umanitaria in Iraq nell’agosto 1997, visita il Kurdistan iracheno (non viene autorizzata a recarsi nel sud del paese). Incontra rappresentanti del governo di Baghdad, tra cui il Vice Premier Tarek-Aziz, cui ricorda che i danni inferti alla popolazione da 30 anni di dittatura eccedono largamente quelli provocati da 6 anni di embargo”occidentale”. Nel settembre, organizza una missione in Afghanistan per verificare lo stato d’avanzamento dei progetti dell’ufficio umanitario della Commissione e a Kabul rimane ostaggio dei talebani per quattro ore. Al ritorno in Europa, denuncia il regime di terrore che regna in quel tormentato paese, sottolineando in particolare la condizione delle donne e la politica di repressione religiosa. Promuove la campagna internazionale “Un fiore per le donne di Kabul”, che culminerà l’8 marzo dell’anno successivo. Quando il regime dei talebani cadrà, mentre a Bonn è in corso la conferenza internazionale per assegnare all’Afghanistan liberato un governo provvisorio, lancia, con il Partito Radicale Transnazionale, una campagna a favore della presenza di donne nel nuovo governo. Oltre seimila parlamentari, ministri, personalità e cittadini da più di cento paesi prenderanno parte alla giornata di digiuno prevista per il 1 dicembre 2001. E’ il primo satyagraha globale della storia radicale. Due le donne elette a far parte dell’esecutivo ad interim e una sua rappresentante, Soraya Rahim, ministro per le questioni femminili, interverrà al XVIII Congresso del Partito Radicale Transnazionale (Ginevra, 4- 7 aprile 2002).
Nel dicembre 1997, Emma Bonino rappresenta la Commissione europea alla Conferenza di Ottawa per la firma del Trattato per la messa al bando delle mine antiuomo, l’ “arma dei vigliacchi”. Nel corso delle sue missioni umanitarie, in Iraq come in Afghanistan, in Cambogia come in Bosnia, aveva incontrato centinaia di vittime da mine. Già nel 1994, come relatore alla Commissione Affari Esteri della Camera dei deputati, aveva ottenuto la decisione unilaterale del Parlamento italiano per un bando totale delle mine antiuomo.
Nel marzo 1999, per porre fine alla repressione etnica delle truppe di Belgrado in Kosovo, la NATO inizia una serie di bombardamenti dissuasivi. I profughi di etnia albanese si contano in centinaia di migliaia. Emma Bonino e Javier Solana, Segretario Generale della NATO, si incontrano al quartier generale della NATO in vista della missione umanitaria della Bonino nella regione, per avviare un coordinamento funzionale tra i responsabili delle operazioni militari e gli attori dello sforzo umanitario. Emma Bonino visita i posti di frontiera in Albania e Macedonia dove si riversa il popolo kosovaro: “Una deportazione di massa di esseri umani che si affacciano senza più identità in un futuro che appare come un abisso buio”, dirà al suo ritorno. Si prodiga per intensificare lo sforzo umanitario dell’Unione europea e promuovere il coordinamento tra gli interventi internazionali.
Il 27 dicembre, come abbiamo ricordato, si "trasferisce" al Cairo. Al Parlamento europeo è membro della Commissione Esteri e della sottocommissione per i Paesi del Mashrek e gli Stati del Golfo. Con una delegazione parlamentare si reca nel maggio 2002 in Arabia Saudita e nello Yemen, ribadendo la necessità politica, anche dell’Europa, di investire il possibile affinché la giovane democrazia parlamentare yemenita possa progredire rafforzando le strutture dello stato di diritto di cui ha scelto di dotarsi. Nel giugno, torna a Kabul per l’inaugurazione della Loya Jirga - la prima assemblea legislativa afgana - per partecipare, invitata dalle femministe del paese, ad una conferenza internazionale dal titolo “Donne in marcia per l’Afghanistan”, e ratificare una “carta afghana dei diritti femminili” da proporre alla riunione dei capi tribù. Sin dall'inizio, segue la vicenda giudiziaria dell’intellettuale democratico egiziano Saad Eddin Ibrahim che, arrestato il 26 giugno 2000 e imputato di quattro capi d’accusa, tra cui frode e corruzione, viene condannato a sette anni di reclusione per aver, tra l'altro, “pregiudicato l’immagine dello Stato” . La sentenza di condanna è stata annullata nel febbraio 2003 anche grazie alla campagna internazionale cui Emma Bonino ha partecipato ottenendo il sostegno del Parlamento europeo.
Una particolare attenzione Emma Bonino è venuta infine svolgendo, negli ultimi anni, ai nuovi aspetti della “questione femminile”. Aveva iniziato il suo impegno civile con i temi del divorzio e dell’aborto, e dunque questo ritorno è naturale, sia pure in un contesto diverso, quello internazionale. Secondo stime dell’OMS, 130 milioni di donne e bambine nel mondo sono state vittime della crudele pratica della mutilazione genitale femminile, e ogni anno due milioni rischiano di subirla. Nel giugno 2000 i deputati radicali europei avevano presentato una proposta di risoluzione di denuncia, e nel novembre di quell’anno avevano organizzato una “Giornata di conoscenza”. Grazie ad un fortunato e utilissimo incontro di sinergia politica con AIDOS, l’Associazione Donne Italiane per lo Sviluppo presieduta da Daniela Colombo, da anni attiva in questo settore, il 10 dicembre 2001 viene avviata, con una conferenza internazionale al Parlamento europeo, una campagna - “StopFgm” – a sostegno della lotta delle donne africane che si battono da oltre 20 anni con tanta determinazione quanta carenza di possibilità sinergiche e visibilità internazionale. Dal 21 al 23 giugno 2003 StopFgm organizza al Cairo una conferenza internazionale sulle linee-guida di una legislazione che ponga le basi per la totale eradicazione di questa vergognosa pratica. Partecipano i rappresentanti dei governi dei 28 paesi interessati, le due massime autorità religiose egiziane, l’Imam Tantawi e il rappresentante della Chiesa Copta. E’ presente anche la signora Suzanne Mubarak.
Le urgenze della politica internazionale e i nuovi assetti dell’area mediorientale post-Saddam, ancora in via di definizione, la inducono a tornare in Iraq a sette anni dalla precedente visita. Accompagnata dagli eurodeputati radicali Gianfranco Dell’Alba e Marco Cappato, la visita si svolge dal 21 al 24 marzo 2004, in coincidenza con il primo anniversario della guerra. La prima tappa è Nassiriya, dov’è di stanza il contingente militare italiano. Incontra il Governatore della provincia Dhi Qar, Sabri al Rumadyah, e un’ampia rappresentanza di donne locali. Nei due giorni successivi, la delegazione radicale si sposta a Baghdad per una riunione con l'ambasciatore Paul Bremer, proconsole americano in Iraq che ha illustrato i passaggi più delicati del processo di transizione dei poteri a un governo provvisorio iracheno, e per incontri con gli interlocutori istituzionali iracheni (membri dell’Interim Governing Council e ministri del governo provvisorio), di ogni etnìa (sciita, sunnita, curda, turcomanna…), tra cui Adnan Pachachi, possibile futuro Capo dello Stato e Raja Khuzai, che si è prodigata in sede di stesura del nuovo testo costituzionale affinché fossero respinte le proposte ispirate dal fondamentalismo etnico-religioso. La delegazione incontra anche rappresentanti della società civile, tra cui la presidente di una delle associazioni più impegnate per i diritti delle donne, Widad Kareem. Il messaggio emerso da tutti questi incontri è univoco: “non ci piace essere occupati ma neppure che andiate via”. L’esigenza che emerge è quella di non abbandonare gli iracheni al loro destino dopo 25 anni di dittatura, di ricomporre un quadro basato su di un’alternativa multilaterale, assicurare quel minimo di sicurezza essenziale per far ripartire l’economia, garantire un passaggio dei poteri rapido ma anche sostenibile, arginare il terrorismo in nome dell’”indivisibilità” della sicurezza nel mondo. Sulla via del ritorno, la delegazione radicale si ferma a Kuwait City dove incontra le associazioni delle donne - in un paese dove le donne non possono neppure votare - per esporre e concordare le azioni a sostegno e promozione della democrazia liberale, a partire dai principi già sottoscritti da decine di Governi arabi con la “Dichiarazione di Sana’a”.