Monologo di Luca Telese – Come non si diventa giornalisti

Luca Telese cammina tra il pubblico al Teatro Pavone in una serata ricca di racconti, poca formalità e tanti aneddoti personali e non del giornalista del Fatto Quotidiano.

Un lungo monologo per raccontare la situazione dei precari del giornalismo nel nostro Paese, del nonnismo e dei privilegi presenti in questo mondo e delle conseguenze che si ripercuotono sul sistema dell'informazione italiano.
Una professione che, sottolinea Telese tra una vicenda personale e l'altra, si fida troppo delle agenzie. Ecco allora una serie di esempi per far meglio capire quanto oggi in Italia si faccia fatica a trovare giornalisti che approfondiscano realmente le notizie, andando oltre i comunicati stampa e il lavoro al desk. Uno su tutti la vicenda di Serpica Naro del 2005. Durante la settimana della moda di Milano un collettivo di giovani appartenenti a un gruppo chiamato San Precario, anagramma appunto di Serpica Naro, ideò una burla diffondendo un comunicato di totale fantasia su una stilista anglonipponica apparentemente conosciuta in tutto il mondo. Ingannando tutti, i ragazzi di San Precario riuscirono a far credere che l'inesistente stilista avrebbe effettivamente partecipato alla settimana della moda, senza che nessun giornalista riuscisse a scovare l'inganno e dando vita a numerose polemiche al riguardo.
Narrando questo e altri esempi, Telese ha condiviso le sue due personali "leggi" sul giornalismo: "il verosimile prevale sempre sul reale" e "l'informazione mangia lo spettacolo, lo spettacolo mangia la politica e il bunga bunga ha mangiato tutto quanto". Insomma, un incontro di esperienza soggettiva nella difficile realtà del giornalismo, le difficoltà per ottenere il tanto desiderato cartellino per venire riconosciuti dall'Ordine dei giornalisti dopo 12 anni di precariato e infine il grande problema di riuscire ad essere fedeli a se stessi davanti agli ostacoli. A tal proposito il giornalista del Fatto ha raccontato una vicenda che riguardava Maria Grazia Cutuli, sua collega al Corriere e precaria, che si rifiutò di ritornare dall'Afghanistan dopo che il principale quotidiano italiano l'aveva richiamata indietro per far posto a giornalisti più blasonati.
Fare il giornalista in Italia significa avere a che fare con un mondo dell'informazione, in particolar modo della carta stampata, che non possiede editori puri. Scrivere di qualsiasi argomento come più si desidera non è perciò possibile, perché gli interessi degli editori vengono prima della vera informazione. Ecco quindi che l'esperienza al Fatto Quotidiano diventa una realtà tutta nuova perché non avere un editore rende le notizie più libere, slegate da altri interessi che non sono quelli di fare informazione. Si può ad esempio criticare la campagna politica del Pd e contemporaneamente il Governo pur essendo in un giornale schierato. Un quotidiano che, con questa formula, è arrivato in poco meno di due anni e in un momento in cui la carta stampata è in difficoltà, a vendere quasi 80 mila copie al giorno, segno che l'obiettivo è stato centrato.
Daniele Zibetti