Musica e parole: il mito Bob Dylan

Atmosfere folk e rock per chiudere la seconda serata del Festival del Giornalismo di Perugia. Il giovane musicista veneto Pietro Brunello, introdotto da David Riondino, ha deliziato il pubblico del Teatro della Sapienza con una carrellata del repertorio 1963-1966 del grande cantautore statunitense, premio Nobel per la letteratura nel 2016.
Indovinata la scelta di privilegiare la parte musicale, rinunciando quasi a raccontare con le parole la straordinaria carriera di un uomo che ha sempre rifiutato ogni etichetta, compresa quella di cantautore di protesta, guadagnata sul campo nei suoi anni giovanili, e che – prima con i testi, oggi con le esibizioni dal vivo, in cui riarrangia i suoi capolavori rendendoli irriconoscibili – ha sempre cercato di sconcertare pubblico e critica.
Brunello ha eseguito in versione originale una dozzina dei suoi grandi successi: da The times they are a-changin’ a Desolation row fino a Mr. Tambourine man, passando per la svolta rock del Norfolk festival del 1965, quando Dylan a sorpresa passò alla chitarra elettrica, e – dopo qualche fischio iniziale – presentò al pubblico Like a rolling stone, poi eletta dall’omonima rivista “miglior canzone rock del XX secolo”. Nel repertorio del primo Bob Dylan – che dal 1962 si chiama così anche all’anagrafe, artista unico anche in questo – ci sono anche canzoni contro la guerra come With God on our side, che ripercorre tutti i conflitti a stelle e strisce, dalla guerra civile alla guerra fredda, concludendo con la speranza che non scoppi una terza guerra mondiale.
E perfino, anche se spesso a modo suo, canzoni che parlano d’amore come It’s all over now Baby Blue, Just like a woman o la dolcissima I want you. Alla fine, dopo una divertente poesia fuori contesto di Riondino, c’è tempo per un bis, con la beneaugurante Forever young: un inno che il menestrello del Midwest ha scritto mezzo secolo fa e messo in pratica fino ad oggi.

Alessandro Testa