Non è tempo per noi quantantenni: tra musica e parole

Teatro Pavone, ore 21:00 - 1 Maggio 2014

La generazione di chi è nato negli anni 70. È su di essa che si incentra il discorso di Andrea Scanzi, giornalista de 'Il Fatto Quotidiano'.
Il primo protagonista citato è Giorgio Gaber: 'La mia generazione ha perso'. Spiega come il cantante, nel suo ultimo album, attraverso una visione dicotomica, aveva evidenziato come l'Italia avesse perso le sue battaglie. Una generazione che, pur provandoci, aveva perso. Ma ci aveva provato. Il risultato di quella generazione che per Scanzi sembra essere il pareggio: senza vincere, nè perdere. Un pareggio dietro l'altro.
La voce di Giulio Casale accompagna il monologo. Note e parole di 'Non è tempo per noi' di Ligabue si associano al discorso e lo contestualizzano alla fine degli anni Ottanta. 'L'autoassolversi - dice Scanzi - era l'atteggiamento più frequente nelle persone di quella generazione'. Il discorso continua attraverso un continuo parallelismo tra le vicende d'Italia e cantanti o gruppi musicali che si susseguivano in quegli anni. Ci viene ricordato come allora era il tempo in cui si preferiva arrabbiarsi, ma non troppo. Il contenuto delle opere di quegli artisti, sottolinea Andrea, era sempre a lieto fine. E, avanti con gli anni, infatti, questo atteggiamento morbido si sarebbe riflettuto anche nella politica. Qui un riferimento al giovane Renzi e alla sua leggerezza politica, in quanto figlio di quella stessa generazione, sempre morbida rispetto ai problemi, alle diverse circostanze.
'Cambierà molto, ma forse non cambierà nulla', dice. Segue un brano di Eduardo Bennato, 'Salvate il salvabile' recita.
Una rabbia, ricorda Andrea, che ha contraddistinto un'intera generazione. Una rabbia che, però, è andata scemando. Analizza la musica attuale che si ferma all'intrattenimento, tralasciando l'aspetto pubblico, per trattare quasi esclusivamente il lato interiore delle persone. Una musica che perde a che i tratti ideologici. Anche nella politica le ideologie vengono meno. Ideologie che hanno permesso di scandire, per anni, la bipolarismo tra destra e sinistra. Ne scaturisce una politica che oggi non ha 'punti forti', commenta.
Ideologia mancante, dunque partecipazione ridotta. Una partecipazione, però, ritrovata altrove, anche in modo considerevole. Nel cinema, ad esempio. Il ritrovamento della rabbia nei campi più svariati. Anche tra i comici. Qui il riferimento a Beppe Grillo, politico ancora prima di volerlo.
Andrea Scanzi parla di una generazione di quarantenni abituata alla voglia di cambiamento radicale, non morbido come avviene per quelli cresciuti ascoltando Ligabue e Jovanotti. Ma parla anche di talenti che, nei diversi campi dell'arte, hanno provato a raccontare le sfide di quella generazione
Il racconto assume anche una piega particolare. Traumi, perdite e lutti a cui quella generazione si è dovuta abituare. La perdita di miti, nel campo 'ludico', dice Scanzi. Cantanti, sportivi. Marco Pantani, l'uomo che viveva di imprevisti. La sua lunga discesa dopo i controlli antidoping. Un giorno idolo, il giorno dopo reietto.
Un'altra perdita è Massimo Troisi. 'Ci ha insegnato a ridere bene. Dolce, buffo, surreale', ricorda Andrea. 'Non ci resta che piangere', il film più famoso, nel quale si ride anche senza capirlo. Segue un riferimento anche a Enrico Berlinguer.
Poi racconta storie di sacrificio. Quelle di Falcone e Borsellino, i 'due Giganti' ammazzati nel 1992. Poi Tangentopoli, l'ultimo mattoncino della Prima Repubblica.
'Un cambiamento che in quegli anni sembrava vicino, lì per manifestarsi. Ma poi arriva lui' dice Scanzi, riferendosi a Silvio Berlusconi. Un cambiamento, forse desiderato, che però non è mai stato attuato. Forse 'perchė non ci abbiamo provato abbastanza', afferma.
Ultimo riferimento per Mario Monicelli, celeberrimo regista.
Si termina assolutizzando il pensiero di tutti i personaggi citati: il sogno e il coraggio di inseguirlo. E la voglia di arrabbiarsi che oggi abbiamo smarrito. "Dovremmo utilizzare diversamente la parola rottamazione" e aggiunge: "non basta essere giovani per essere grandi".
"Meglio perdere che pareggiare" una frase dal suo ultimo libro: ė così che Scanzi termina il suo discorso. Tra gli applausi dello stracolmo teatro Pavone.

Bottone Alessandro
@ale85bottone