POLITICI CHE ODIANO I GIORNALISTI: DA CRAXI A RENZI

Perugia, domenica 4 maggio 2014

Oggi pomeriggio, nella Sala Raffaello dell’Hotel Brufani, si è svolto il panel Politici che odiano i giornalisti: da Craxi a Renzi, curato dal quotidiano Europa. Stefano Menichini, direttore di Europa, ha introdotto gli altri tre ospiti: Maria Teresa Meli (Corriere della Sera), Goffredo De Marchis (Repubblica) e Alessandra Sardoni (Omnibus, La7). “Non sono tanti i leader politici che hanno questa carica divisiva del circolo mediatico; a parte Craxi mi viene in mente, forse, D’Alema”. Menichini lancia poi una “provocazione” per dare il via alla discussione: “La definizione di simpatie e antipatie dei singoli giornalisti nei confronti dei leader, probabilmente, condiziona poi il loro lavoro”.

“Renzi rivela una debolezza del giornalismo italiano, quella di essere poco obiettivo e di farsi spingere dalle opinioni politiche – dice Maria Teresa Meli – “tutti i politici odiano i giornalisti, a D’Alema potremmo aggiungere Prodi e la Boldrini. Da una parte c’è complicità tra le due parti, dall’altra il giornalista non riporta i fatti ma fa una controparte politica, e questo è un errore enorme. Fra tre o quattro anni, ci leggeranno solo i politici”.

Goffredo De Marchis commenta il titolo dell’incontro, una parafrasi cinematografica che vuole rendere il rapporto di forza tra giornali e politica ma precisando come l’atteggiamento di Craxi e Renzi sia profondamente diverso, a partire dal contesto storico; mentre per Craxi la mediazione giornalistica era ancora il principale strumento per raggiungere l’opinione pubblica per Renzi tutto questo è invece superato: ha più di un milione di followers su Twitter e usa linguaggi diversi a seconda del mezzo di comunicazione, un esempio l’espressione “gufi e rosiconi” che mentre sulla carta stampata compare poco su Twitter è ormai diventata un mantra. “Oggi c’è il rischio di un’interpretazione titanica del personaggio che, anche nel caso non se ne condivida la linea politica, viene raccontato come un gigante, un genio del male, ma pur sempre un genio. Questa pratica dovrebbe essere evitata nel giornalismo italiano; in quello americano questo meccanismo esiste ma l’innalzamento di un personaggio è funzionale al farlo crollare dopo, ne è un esempio la vicenda del senatore McCaine”.

“Renzi è il primo vero leader personale, ha scardinato il sistema oligarchico della sinistra – afferma Alessandra Sardoni –, ha interpretato fino in fondo lo spirito delle primarie dove se uno perde, ha perso, e non si prende una fettina, ma solo la responsabilità della sconfitta. L’opinione pubblica è restia a cercare responsabilità, e noi giornalisti tendiamo a non attribuirne. Quando Berlusconi era nella sua fase forte, c’era un’alta percentuale di stampa critica; con Renzi c’è ancora un atteggiamento prevalentemente favorevole. Noi abbiamo perso la capacità di fare le pulci ai governi ma dobbiamo continuare a farlo perché significa capire la praticabilità delle promesse che vengono fatte”.

Renzi ha scippato ai grandi quotidiani il potere di dettare l’agenda? “Quando Renzi ha deciso di scendere in campo, disse che non si sarebbe fatto dare la linea da Repubblica. – dice la Meli – I giornali sono un po’ in difficoltà, tuttavia basterebbe mettere in fila le promesse di Renzi non mantenute per fargli le pulci, ma i giornalisti non lo fanno. Renzi ha creato un clima di fiducia e i giornali non sanno come porsi; lui non si giustifica quasi mai, e quando lo fa non si scusa, ci dice che non abbiamo capito niente e che provvederà lui a spiegarci come stanno le cose”.

“Come diceva Maria Teresa c’è una difficoltà ad inquadrare il personaggio, un governo che mette tanta carne al fuoco – prosegue De Marchis –, e annunciare risultati uno dietro l’altro è un modo di dettare l’agenda ai giornali i quali, però, dovrebbero anche dire quando questi obiettivi non vengono raggiunti”. Il giornalista di Repubblica continua dicendo che Renzi ha capito come la politica italiana degli ultimi decenni abbia faticato tanto a dare delle risposte “e lui ha deciso di darne su tutto, magari sbagliate, ma intanto di darne”.

La Sardoni specifica come questa sia una fase di cambiamento, di frammentazione, dove tutto è più debole, dai giornali mainstream alla televisione; si affacciano anche tanti nuovi giornalisti, che tolgono potere alle roccaforti storiche. “Renzi, come Grillo, a volte rifiuta la mediazione, anche se con modi diversi. A me colpisce quando, nelle conferenze stampa a Palazzo Chigi, Renzi è sbrigativo di fronte alle nostre domande, come se fossero ormai un rituale stanco; quello che è incredibile è che nessuno protesta, se ci fosse stato Berlusconi sarebbe stato tutto un mugugno”.

Nel mondo di Twitter e delle altre forme di informazione è un problema che i giornali non siano in sintonia con la situazione contemporanea, ha sottolineato Maria Teresa Meli, precisando come gli stessi direttori delle testate, oggi, spesso non siano in grado di rapportarsi coi social media.

“Dobbiamo cercare di dare delle motivazioni alle persone per riconoscerci di nuovo come mediatori, questa è la nostra sfida – conclude Alessandra Sardoni – le nuove tecnologie dettano delle regole nuove, e noi usciamo un po’ malconci da questo dibattito”.

Federica Scutari, Valentina Marinelli