In Turchia il giornalismo investigativo è diventato un crimine, perciò pubblicare storie di pubblico interesse dall'esterno può essere un'ancora di salvezza per la stampa turca. Ci sono opportunità per trasformare il modo in cui  sono condotte le inchieste e gli approfondimenti legati alla Turchia. Ma anche in questo scenario di diaspora i media devono affrontare dei pericoli.

Lo scorso anno The Black Sea, webmagazine sull'Europa Orientale, con l'EIC Network e i suoi partner ha pubblicato inchieste esclusive, che hanno rivelato i rapporti finanziari occulti delle famiglie del presidente e del primo ministro turco. Le rivelazioni sono state ignorate dai media mainstream nazionali, che operano sotto una pressante autocensura. Mentre i giornalisti di Black Sea sono stati denunciati in TV come terroristi da eminenti colleghi e la magistratura ha cercato di bloccare le pagine del sito - che è stato stato violato. Altri media colpiti dalla diaspora hanno tenuto le distanze dagli eventi, mostrando la portata del problema e la mancanza di solidarietà - persino tra le testate che si dichiarano di opposizione. Nell'ultimo decennio qualcosa di fondamentale è quindi radicalmente cambiato nel giornalismo turco. Nelle zone in cui pesa la repressione di Stato, quanta speranza dobbiamo riporre nelle collaborazioni tra realtà della regione - e in strutture interorganizzativi - come cardine per un giornalismo investigativo di qualità?
	

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