Quali sono i caratteri e i pericoli delle differenti forme di regimi autoritari emergenti nel mondo? Stamattina presso la Sala del Dottorato l’obiettivo è stato, da un lato, definire logiche e schemi sottesi ai governi velatamente autoritari che professano la democrazia, e dall’altro, tentare di invertire derive, invece, profondamente autoritarie. Hanno preso parte al panel John Nery, editorialista del quotidiano filippino Inquirer, Alexa Koenig, direttrice esecutiva di Human Rights Center, Yavuz Baydar, giornalista turco in esilio, Tamas Bodoky, giornalista ungherese.
Secondo Koenig quattro sono gli elementi che conferiscono ad uno Stato un’organizzazione autoritaria: un pluralismo politico limitato; un potere esecutivo vago nell’esercizio delle sue funzioni e pronto ad espandersi in caso di “crisi”; la creazione, talvolta retorica ed emotiva, di un nemico spesso immaginario contro cui destinare atti politici ingiustificabili in politica estera. In politica interna, infine, i governi di ispirazione autoritaria promuovono una sistematica repressione dI oppositori al governo centrale.
L’elezione di Trump alla Casa Bianca mostrebbe segni di una possibile deriva autoritaria nella misura in cui il Presidente, cavalcando tendenze populiste e affermandosi come leader carismatico, sta attualmente tentando di focalizzare l’attenzione dei cittadini su questioni dal peso relativamente scarso rispetto, invece, a ciò che meriterebbe più attenzione. Laddove i provvedimenti esecutivi tendano all’autoritarismo i media nazionali, perciò, devono indurre i cittadini ad una riflessione di questi ultimi rispetto alla Costituzione degli Stati Uniti. Infine, conclude Koenig, assicurare e mantenere l’indipendenza dei media americani rispetto al potere del governo è fondamentale perché si garantisca la democrazia al Paese.
Il caso dell’Ungheria, spiega Tamas Bodoky, mostra maggiori preoccupazioni. Il governo di Orban, dai caratteri autoritari più intellettuali che concreti, ha imposto una repressione del giornalismo investigativo e sceglie con cautela i suoi giornalisti in caso di dichiarazioni o atti pubblici. Orban, peraltro, ha basato la propria autorità su un corpo militare che lo protegge costantemente e lo celebra attraverso i media. Queste tendenze, hanno facilitato e diffuso un odio profondo nei confronti degli immigrati e dei rifugiati politici, i quali, afferma Bodoky, “In Ungheria non esistono. Ma il problema rimane perché un uomo medio ungherese che non ha mai neppure avuto un contatto con un rifugiato politico, finisce per odiarlo in maniera assolutamente immotivata”. Yavuz Baydar, in esilio dalla Turchia, spiega come Erdogan non intendeva in origine conferire una svolta autoritaria al Paese. Dopo i fatti di piazza Tahir nel 2013 i media turchi erano convinti di poter offrire al Paese un’informazione chiara e giusta, ma a poco a poco Erdogan ha ridimensionato sempre più l’indipendenza e la libertà dei media, fino a causarne la totale repressione. Erdogan, spiega Baydan, è stato senza dubbio aiutato da fattori storici che ne hanno facilitato il carattere autoritario. Il Presidente, infatti, ha dovuto cercare di rispondere a questioni fondamentali, quali il ruolo della religione islamica, il riconoscimento e il rispetto dei diritti della minoranza curda, lo svuotamento del potere dell’esercito a favore della sovranità popolare. Le risposte sono state, tuttavia, trovate nell’esacerbazione del carattere autoritario del suo regime attraverso l’utilizzo della religione e dell’esercito. Dopo il suo esilio Baydan è convinto, pertanto, che la democrazia sia incompatibile con l’Islam, almeno per il momento, e spera di poter ritornare nel suo Paese e svolgere la sua consueta attività di giornalista dopo il referendum del 17 aprile.
Le Filippine, infine, sono straziate da più di settimila vittime nell’ultimo anno, mietute dall’esercito di Duterte, definite “vittime collaterali”. Il premier Filippo non è dichiaratamente un dittatore, afferma Nery, ma mostra caratteri che, potenzialmente, lo ascrivono alla categoria dei leader autoritari. Salito con una maggioranza esigua, gode di una popolarità immensa: la maggior parte dei filippini teme la violenza dei cartelli della droga, e Duterte si impone come eroe della patria contro le organizzazioni criminali. Il suo gabinetto è per lo più composto da ex-militari e nel 2016 ha lanciato una politica di ricompense per coloro che avessero aiutato a catturare vivi o morti sospetti criminali oppure trafficati di droga. L’Inquerer, uno dei maggiori giornali nazionali, spiega Nery, è continuamente sottoposto a minacce da parte del Presidente e ad accuse di “oligarchia”, e non può che pubblicare l’elenco dei nomi di tutte le vittime della guerra fra governo e cartelli della droga: presunti criminali, donne e bambini perdono la vita ogni giorno in una guerrilla senza sosta, e i media nazionali ricevono minacce ed insulti.
Tutti questi casi diversi sotto molti aspetti mostrano una comune esigenza: il rafforzamento dei media e l’indipendenza del giornalismo come unico strumento di contrasto alle derive autoritarie.
Emilia Sgariglia