“Vorrei provare a passeggiare nella complessità”: così Roberto Saviano esordisce sul palco di un Teatro Morlacchi straripante di spettatori, senza contare i molti rimasti fuori.
La passeggiata (per continuare con la metafora) si snoda attraverso due assi portanti: il tempo e la parola. Il tempo necessario per conoscere, discutere, riflettere, approfondire è un tempo lungo, forse troppo lungo, per l'epoca in cui viviamo. Secondo lo scrittore, oggi la nostra memoria non va oltre l'ultimo tweet, la nostra attenzione è concentrata sul momento ed è quindi più semplice comunicare con uno slogan, anziché spiegare. Spiegare chiederebbe l'impiego di molte, troppe parole, e rieccoci al punto di partenza: “la verità è un atto individuale, non virale”.
Attraverso la proiezione di fotografie e video emblematici ripescati dagli ultimi anni di politica, Saviano ha poco alla volta smascherato alcune delle contraddizioni che riguardano i politici del nostro tempo, con particolare attenzione all'attuale Ministro della Difesa: il mancato mantenimento delle promesse fatte in campagna elettorale; la dichiarata avversione per la criminalità organizzata, cui sarebbero legati alcuni suoi stretti collaboratori; il cambio di atteggiamento nei confronti del Sud (dalla definizione dell'Italia come “porcheria” fino a “prima gli italiani”, passando per “prima il Nord”).
Gli elementi che permettono al meccanismo comunicativo del potere di raggiungere il suo scopo sono tre: velocità, superficialità e ricerca di un nemico a cui addossare la responsabilità dei problemi – anche quando mancano i nessi logici. “Nessun immigrato o buonista è responsabile degli 'scempi' fatti in Abruzzo, ma anziché chiedersi 'Chi è il responsabile?' si preferisce spostare l'attenzione su altri soggetti e incanalare verso di loro il disagio e la rabbia”.
Fedele all'idea che soltanto se vengono raccontate le cose esistono veramente, Saviano mostra anche immagini crude, legate alla Paranza dei bambini e alla morte di un giovanissimo capoclan criminale: “Osservare la ferita è l'unico modo per curarla”.
Il viaggio, ricco di metafore, si conclude con un'ultima riflessione sul peso della verità, attraverso il confronto tra due giganti del libero pensiero, entrambi avversati dal potere del loro tempo: Galileo Galilei, da un lato, e Giordano Bruno, dall'altro. Galileo può rinunciare alla propria parola perché la Terra continuerà a girare attorno al Sole e la verità scientifica sopravviverà alla sua abiura; la verità di Bruno, al contrario, è umana e riguarda la libertà, la giustizia e l'uguaglianza di tutti gli uomini di fronte al creato. Se avesse rinunciato a questa convinzione, anche quanto da lui affermato sarebbe venuto meno: allora Bruno accetta di essere bruciato vivo, per tenere in vita le sue parole. Dimostra che è davvero un atto individuale, la verità.
Rebecca Mellano - volontaria press office IJF19