Senza social media?

Teatro della Sapienza ore 17,00

Un ritorno alle vecchie “redazioni fumose”. Questo, per Sarah Marshall, giornalista del Wall Street Journal, sarebbe il risultato di un giornalismo che abbandonasse i social media. Un tuffo indietro nel tempo, dove i reporter erano senz'altro meno stressati, ma anche più distanti dai loro lettori.

L'incontro che si è svolto alle 17,00 al Teatro della Sapienza, introdotto e moderato dal direttore di Wired Italia, Massimo Russo, è riuscito a dare una risposta netta alla domanda sulla possibilità di tornare a fare giornalismo con i soli “metodi tradizionali”: secondo tutti i relatori, sarebbe semplicemente assurdo.

Proprio Sarah Marshall è la prima a ipotizzare una situazione del genere, elencando quei contenuti che nell'arco della settimana appena trascorsa non avrebbero raggiunto gli utenti dei social. Si tratta ovviamente di curiosità, non di vere e proprie notizie, che si condividono in tempo reale e che hanno la straordinaria capacità di trasportare il lettore direttamente al fianco del reporter, in qualsiasi parte del mondo si trovi.

Per Julia Hildebrand di Deutsche Well, è proprio questo uno degli aspetti principali sul quale bisogna investire per creare “comunità di lettori”. Raggiungere utenti in tutto il mondo vuol dire entrare in contatto diretto con loro, capire i loro interessi, verificare i loro gusti e quindi fornire il tipo di informazione richiesta. Tutto ciò, continua Hildebrand, è possibile solo grazie ai social media, che si rivelano assolutamente indispensabili soprattutto per quei giornali, come il Deutsche Well, che sono letti in decine di Paesi del mondo, con decine di culture diverse.

Aron Pilhofer del New York Times ricorda come social media voglia dire anche buoni affari e vantaggi per il businness, rappresentati da “milioni di invii in più, adesioni al pagamento Paypal, e una crescita esponenziale del numero dei voti per ogni articolo”.

Julie Posetti, ricercatrice di WAN-IFRA, concentra invece la sua attenzione su Twitter, individuando alcuni dei principali effetti di questo social network sul giornalismo. Al primo posto c'è quello sui giornalisti stessi, che sono costretti a una profonda riflessione sul proprio ruolo, oltre che a un cambiamento del loro stile di vita. La “twitterizzazione” della professione giornalistica, aggiunge Posetti, può provocare anche uno scontro tra la sfera pubblica e quella privata del giornalista, o addirittura la nascita di un reale problema di sicurezza. Nonostante questo, però, a suo avviso i social media rimangono “un vero e proprio dono”.

Giovanna Carnevale