Siria, come (non) si racconta una guerra

con Eugenio Dacrema (Università di Trento), Daniele Rainieri (Il Foglio), Alessandro Rota (fotoreporter freelance), Marta Serafini (Corriere della Sera)

Nella sala di Palazzo Sorbello, nell'ultima giornata del Festival Internazionale del Giornalismo, reporter e giornalisti delle principali testate nazionali hanno trattato del racconto della guerra in Siria, compito reso arduo dalla difficoltà di comprendere un territorio ricco di sfaccettature e soggetto al controllo di numerose fazioni contrapposte. La principale criticità, come evidenziato dai relatori, è quella di distinguere tra notizie e propaganda di parte, essendo imprescindibile approcciarsi alla Siria servendosi del supporto logistico e contenutistico delle popolazioni autoctone e perciò parziali. Ulteriore problema è l’accesso in Siria, ad oggi impedito da parte dei gruppi terroristici e garantito soltanto dalla parte dei ribelli. In generale per comprendere la situazione in Siria è necessario superare l’idea sbagliata che noi occidentali abbiamo del popolo siriano e del conflitto. "Non si tratta di una guerra tra Islam e brave persone come spesso trapela dall’informazione", ha spiegato Rainieri. Serafini ha invece evidenziato la necessità di svolgere un'attività di analisi costante, di approfondire cercando di mettere insieme le informazioni, senza inseguire il sensazionalismo”. Dalle esperienze dei reporter presenti è emerso quanto la radicalizzazione non sia soltanto prerogativa jihadista ma fenomeno presente in tutta la società e  dovuto alla velocità dei cambiamenti cui la politica fatica a star dietro. Il racconto contemporaneo della guerra siriana oggi produce verità estremamente eterogenee di quanto sta accadendo: "le persone non ricercano la verità, bensì cercano una verità per loro più rassicurante", ha dichiarato Dacrema. Direttamente connessa a questa questione è quella riguardante il filtraggio di informazioni, a cui la maggior parte della popolazione non è educata, e questo si riverbera nell'opinione pubblica per poi riversarsi nelle decisioni politiche. Questo rischio si presenta in maniera accentuata per le foto che presentano una potenza dirompente maggiore rispetto alle altre forme di racconto. A testimoniarlo Alessandro Rota, fotoreporter autore di un reportage in Siria sulle fosse comuni di donne yazide, ritenendo che le convinzioni radicate nel mondo occidentale spesso non trovino riscontro nella realtà. Alcune zone della Siria liberate dai terroristi sono rimaste città fantasma, nonostante i media avessero diffuso l'idea di una totale liberazione di quei territori. Sul finire del panel è stato affrontato il tema della terminologia adoperata nel raccontare il conflitto in Siria, sottolineando quanto sia necessario prestare attenzione ai termini adoperati per evitare di esprimere connotazioni di parte alle diverse fazioni, lasciandosi così condizionare dall'idea comune. "Di solito chiamo le fazioni diverse con il nome che loro stesse si danno", ha spiegato infine Rainieri riferendosi alla sua esperienza personale.

Leonardo Vaccaro