Soldi, bufale e percentuali

Incontro con Luca Cifoni, Il Messaggero

Il giornalista de Il Messaggero Luca Cifoni analizza l’informazione economica contemporanea cercando di “decostruire” il flusso di informazioni abituali con le quali quotidianamente dobbiamo fare i conti. Flusso che riguarda i dati economici ma il cui meccanismo ha una valenza generale.

La confusione generata dalle informazioni numeriche è infatti massima e sia i giornalisti che i lettori risultano spesso poco attrezzati. In questo scenario il lavoro del giornalista è fondamentale: egli deve capire cosa si muove dietro questi numeri senza farsi travolgere da essi.

Le percentuali sono l’esempio più tipico di bufale non volontarie che non contribuiscono alla chiarezza se non adeguatamente contestualizzate. Un recente esempio di flusso inarrestabile e incomprensibile di numeri è avvenuto nel bienno 2008-09 durante la cosiddetta “crisi”: in quel periodo numeri e percentuali fioccavano ogni giorno. Cifre di tutti i tipi presentate in modo tale da non far capire esattamente di cosa si stesse parlando. E’ proprio la frequenza dei dati che contribuisce ad aumentare la confusione con l’effetto che la troppa informazione equivale a nessuna informazione.

Alla “giungla di cifre” contribuisce anche la componente tecnologica la quale rende disponibile una maggiore quantità di informazioni ma che parallelamente aumenta in maniera esponenziale il numero di coloro che diffondono numeri e, proporzionalmente, errori. E in questo mare magnum di informazioni ci sono gli intermediari che usano il caos come scorciatoia per “maneggiare” i dati.

Come nel caso della stima delle auto blu in Italia: per alcuni anni venne data per buona la cifra di 626.670 auto, diffusa da un’associazione che non aveva reso noto il metodo di calcolo. Nonostante ciò il dato fu ripreso dai giornali rimbalzando poi sul web. La stima più attendibile in realtà è quella effettuata dal ministero della Funzione Pubblica (sul 55% delle amministrazioni) che si aggira intorno alle 70mila unità. Le due cifre hanno l’effetto di dare la stessa impressione di grandezza, pur essendo molto lontane tra loro. E’ quindi così importante sapere la cifra corretta? Ci aiuta ad avere maggiori informazioni? Potrebbe, nel momento in cui questo viene rapportato al costo, ad esempio.

Tutti questi numeri infatti hanno bisogno di un contesto (confronto internazionale, costo, temporale). E’ fondamentale chiedersi da dove vengono i numeri, quali sono le fonti: le più diffuse sono le banche dati amministrative, oppure indagini campionarie.

Altra guerra di cifre avviene, ad esempio, sui dati occupazionali, statistica in Italia politicamente sensibile. Nel 2001 ci furono polemiche sul dato degli occupati. Dall’allora opposizione venne messo in discussione il criterio di calcolo: per risultare occupati nel sondaggio bastava anche aver svolto solo un’ora di lavoro retribuito. Dopo 10 anni gli stessi che accusavano il precedente governo di aver diffuso statistiche “esoteriche” hanno difeso quello stesso criterio di calcolo statistico. Questo a dimostrazione che la politica non aiuta ad orientarsi in questa giungla, ma ci sguazza. Un fenomeno si può misurare in vari modi, quindi è sbagliato l’approccio propagandistico della politica ai numeri per la lotta strumentale. Un punto di riferimento può rappresentare in questi casi il parallelo dello stesso fenomeno all’estero.

Per questi motivi più che avere un’attenzione spasmodica al dato singolo che esce ogni giorno si dovrebbe avere una capacità di sintesi, coniugata ad una maggiore analisi dei numeri.

Essendo le principali fonti di dati e numeri gli istituti di statistica e le amministrazioni pubbliche diventa fondamentale, per gli istituti di statistica, l’indipendenza economico-finanziaria dai governi, senza la quale è la democrazia che viene messa a repentaglio: certi numeri rischiano di non essere diffusi o di venire manipolati a scopi politici. Emblematico il caso della Grecia: il governo di centrodestra aveva nascosto all’Unione Europea (e ai cittadini) i dati reali sul debito pubblico; cambiato il governo il successore (Papandreou) dovette correre ai ripari imponendo una stangata sull’economia che ebbe l’effetto di generare violente insurrezioni popolari.

In questa giungla di soldi, bufale e percentuali quindi il ruolo del giornalista è fondamentale: egli ha il compito di capire cosa si muove dietro i numeri senza farsi travolgere essi.

Tecnologia e web aiutano a districarsi in questa selva, ma il giornalista deve cercare informazioni metodologiche, ricordandosi che non c’è indipendenza senza competenza: fa più danni la cialtroneria del condizionamento politico.

Cifoni conclude con una previsione sul ruolo futuro del giornalista: la fruizione di questa mole di dati infatti sta cambiando, le amministrazioni stanno mettendo questi archivi in forma pubblica sul web, con l’effetto di creare maggiore democrazia ma con il rischio di avere troppa informazione. Il giornalista quindi oltre a fare da medium tra i dati e i lettori deve andare incontro alla fonte, selezionando e contestualizzando in maniera dinamica le informazioni numeriche. Diffidando dalle bufale, nell’interesse degli utenti-cittadini.

Alessandro Ingegno