SPEAKER: GUIDO MEDA (vicedirettore Sky Sport) - OMAR SCHILLACI (vice direttore Wired)
Teatro della Sapienza
Giovedì 12 aprile, sul palco del Teatro della Sapienza, Omar Schillaci ha intervistato Guido Meda. Il giornalista di Sky Sport ha parlato della sua carriera, dalle origini ad oggi, soffermandosi anche sui rapporti con i piloti e sulla tragica morte di Marco Simoncelli.
«Non pensavo di fare il telecronista, mi sarebbe piaciuto essere un mezzobusto o un inviato speciale. Per quel che riguarda le telecronache, invece, sono partito dallo sci. Poi però Mediaset ha preso i diritti del motomondiale e a me, appassionato di motori, vennero proposte le telecronache». La prima scelta era Nico Cereghini: era il candidato naturale, l’aveva già fatto per Tele+. Lui si rifiutò e indicò Meda a Ettore Rognoni, direttore dell’epoca.
Il grande risultato è stato portare la MotoGP nei salotti delle famiglie, non solo degli appassionati. «Rispetto a quanto fatto dalla Rai, a inizio 2000 Mediaset ha cambiato il modo di raccontare le gare. Il mio linguaggio, molto diretto, ha funzionato». Un gergo, il suo, che è stato ripreso anche dagli appassionati, che hanno fatto loro il suo gergo («Sverniciare», «Giù a cannone», «Gas a martello»). Importante anche l’entusiasmo, «ma solo se è autentico: altrimenti si capisce che stai vendendo del fumo. Servono la passione per lo sport che si segue e una relazione diretta con i protagonisti, nel mio caso con piloti e capotecnici. Nel paddock della MotoGP, fortunatamente, questo è ancora possibile».
«Tutto ciò che è diventato tormentone è sempre stato improvvisato, come ad esempio “Rossi c’è”. Nacque in un momento di crisi di vittorie del pilota, che poi crisi è relativa: non vinceva da quattro gare. “Tutti in piedi sul divano!” nasce dal mio modo di seguire le gare: mi siedo al contrario, con lo schienale sul petto, come se fossi in moto. Nei momenti tirati, quelli della fine, mi metto in piedi sulla sedia, pensando che anche a casa la reazione sia quella, ma sul divano».
Confine tra imparzialità e tifo. «La tv è vigliacca e non ti perdona. Se scegli di essere come ho scleto di essere io in questi anni, il bollino blu non te lo toglie nessuno. Sono considerato un tifoso e amico di Valentino Rossi dagli “anti-Rossi”, mentre io non la vivo e non la sento così. A lui ne ho dette e perdonate tante quante ne ho dette e perdonate ai suoi colleghi. Solo che lui è sempre stato un po’ più furbo nella media a non cacciarsi fuori dai guai». Un pensiero anche su Marquez: «Io ho il massimo rispetto per lui, anche se ho delle opinioni su alcuni eventi. Restano mie, ma di sicuro non sono contro il pilota spagnolo».
Senza Rossi sarebbe stata una carriera giornalisticamente diversa? «Sì. Ma forse anche per lui l’aver raccontato la sua carriera come abbiamo fatto noi sarebbe stato differente». Il Valentino che conosce Meda è diverso da quello che appare in tv? «No, io credo sia autentico così come appare. Egoisticamente vincendo, si concede molto al pubblico ma in periodi molto limitati. Non vuole scocciature da nessuno, anche se è vero che la sua fortuna arriva dall’approvazione della gente. Curioso nei confronti di tutto ciò che si muove nel mondo. Leale, non dà fregature se non dai fregature. Regge la critica, se ben argomentata. Un fenomeno? Sì, è una di quelle persone che hanno una marcia in più». Ci ha mai litigato? «Per davvero no, con nessuno in quel mondo. Discusso sì. Non ho comunque un rapporto privilegiato, anche se altri piloti italiani qualche volta hanno manifestato un po’ di gelosia».
Sul tema della morte: «Il discorso è complicato. All’inizio della mia carriera di telecronista delle moto ho fatto un incidente grave. Tanti mesi di ospedale, ho pensato molto. Quell’incidente lì curiosamente mi ha molto avvicinato ai piloti: ho ricevuto visite inaspettate. Mi hanno fatto sentire uno di loro. Questo mi ha dato energia, fondamentale quando uno deve guarire. Sono tornato a fare il mio mestiere sapendo però che i piloti che corrono anche nel motomondiale hanno quel pensiero. Scatta il meccanismo di autodifesa, ossia la rimozione». Hanno l’urgenza fisiologica di non soffermarsi a elaborarla. «Loris Capirossi si è ritirato quando ha avuto paura: c’è stato un momento in cui in pista mi venivano in mente i piloti morti».
Come si racconta la morte di Simoncelli? «In quel momento ero responsabile del gruppo di lavoro in Malesia, quello che doveva raccontare l’evento ed ero un suo amico. Dovevo miscelare le cose con buon senso. Due giorni prima dell’incidente, Marco era arrivato da una vacanza dalle Filippine. Io dissi ai miei di tenere presente che davanti alla tv ci sarebbero stati i familiari di Simoncelli. Se dobbiamo dare una notizia tragica, o lasciarla presagire, facciamola in maniera umana. In quel momento lì è meglio essere uomo, prima che giornalista».
Si chiude con quanto successo nel GP di Argentina tra Marquez e Rossi: «Lo spagnolo non è uno stronzo. Ha spostato vari livelli, anche quello del fairplay. Valentino è stato molto duro in certi sorpassi della carriera, così come Stoner o Lorenzo. Tutti sono stati duri. Marquez ha portato la durezza del sorpasso nella normalità e la nuova generazione di piloti che sta crescendo dietro un po’ si ispira. In Argentina non è stato stronzo, è stato poco furbo: se avesse tirato giù un altro pilota non sarebbe successo questo casino. Avrebbe potuto aspettare due curve. Il suo è stato un danno d’immagine, e quindi di soldi: Rossi è amato in tutto il mondo».
Simone Vazzana