Tutti possono essere giornalisti, non tutti sono credibili

Nelle ultime settimane il dibattito giornalistico attorno ai media digitali ha registrato una sorta di frenata, dopo le fiammate di inizio anno derivanti dall'eco di alcuni studi di settore molto discussi, dalla decisione di Andrew Sullivan di rendersi autosufficiente, dall'introduzione del native advertising e dall'analisi del ‘caso’ BuzzFeed - argomenti che ancora in questi giorni continuano ad essere ripresi e approfonditi. Su RoundUp questa settimana parleremo di Twitter, dal punto di vista dell'utente e della società, e del rapporto fra user generated content e giornalismo tradizionale, che spesso - come accaduto negli ultimi giorni - rischia di portare a clamorose bufale.

di Vincenzo Marino

Quanto vale Twitter?

Se lo chiedono in tanti, trovando una prima risposta in una valutazione di fine gennaio, quando l'offerta di acquisto di titoli da parte della società d’investimenti BlackRock ne ha fato schizzare il valore a circa 9-10 miliardi, con una crescita del 10% rispetto alla raccolta fondi dell'autunno del 2011. Questa settimana Dennis K. Berman del Wall Street Journal ha voluto indagare sulla reale valutazione della compagnia, arrivando a giudicare quella dei 10 miliardi addirittura una stima al ribasso, e a ritenere che Twitter abbia buone probabilità di ‘sbarcare’ a Wall Street affermandosi come una delle migliori IPO dell'intero 2013: secondo l’agenzia di ricerche eMarketer, riporta Berman, per Twitter nel 2014 si stimano ricavi tra gli 800 milioni di dollari e il miliardo. Un risultato notevole per una company che offre un servizio piuttosto semplice, su una piattaforma che non ha bisogno di incredibili lavori di manutenzione e che in pratica ‘lavora da sola’. Ma quale sarebbe il segreto di Twitter?

Prendendo spunto dall'attualità, Berman cita l’esempio della notte degli Oscar, evento che come altri viene - ed è stato - 'vissuto' in larga parte su Twitter sia dagli utenti - come attività second screen - che da attori, giornali e show stesso, che lo hanno rilanciato e promosso continuamente facendo della tv - per citare l'autore - quasi un mero portale di traffico verso i social, e non il contrario. Secondo fattore, Twitter è una piattaforma che gode di contenuti sempre nuovi e aggiornati dagli stessi utenti, che in pratica lavorano alla creazione e alla pulizia delle pubblicazioni in modo del tutto gratuito. Certo, avverte il giornalista del WSJ, la strada non è priva di ostacoli: Twitter dovrebbe cominciare a prendere le misure alla crisi delle inserzioni che potrebbe derivare dal fatto che gli utenti, una volta effettuato l’accesso, sono effettivamente poco propensi all'acquisto di beni - magari via promoted tweet - diversamente da quanto invece accade su Google - consultato spesso proprio prima di un acquisto. La risposta a questo problema, il mantenimento dei ritmi d'espansione attuali - elevati, malgrado il blocco in Cina - e la cura dei costi di manutenzione sarebbero quindi gli aspetti da tenere sotto controllo in quello che per la società, conclude l'articolo, potrebbe essere un anno d'oro.

La ricerca che spiega come ‘conquistare’ follower

Passando dalla parte degli utenti, questa settimana Jeff Sonderman su Poynter ha riportato i risultati di una ricerca del Georgia Institute of Technology, «A Longitudinal Study of Follow Predictors on Twitter», che ha registrato comportamenti e dati derivanti dall'analisi di 500 mila tweet inviati dai circa 500 utenti Twitter attivi scelti per la ricerca (anglofoni, in attività da almeno un mese, con minimo 15 following e 5 follower) in un arco temporale di 15 mesi. Scoprendo, in sostanza, che i ‘sentimenti negativi’ tendono ad allontanare gli altri utenti, rendendo l'autore meno attraente come possibile user da seguire: Twitter sarebbe infatti dominato «da legami sociali molto deboli», spiegano i ricercatori, motivo per il quale atteggiamenti negativi o aggressivi «potrebbero essere considerati fastidiosi e sgradevoli per i potenziali nuovi follower».

Altro consiglio che emerge dalla ricerca, evitare di condividere troppe informazioni personali su Twitter - causa la citata carenza di legami sociali - preferendo contenuti 'terzi', a carattere informativo, particolarmente apprezzati e - secondo lo studio - metodo efficace fino a trenta volte di più per rinfoltire il proprio seguito. Quattro utenti su dieci avrebbero infatti dimostrato un’attitudine controproducente alla condivisione di informazioni a carattere personale - in stile "Ora un bel panino", per intenderci - minando fortemente le possibilità di veder crescere la propria ‘popolarità’, contro il solo 24% di account più 'informativi’. Terzo aspetto, infine, l'interazione: una maggior inclinazione al dibattito, che dovrebbe poter aiutare nella crescita del numero di follower. Atteggiamento positivo, propensione all'informazione e interattività, insomma, sarebbero le doti maggiormente apprezzate su Twitter. Che tradotto nella sintesi di Sonderman, «suona un po' come qualcosa che vi diceva vostra madre: ‘se non hai nulla di carino da twittare, non twittare’».

Il giornalismo, il maiale e la capretta

Martedì scorso il New York Times ha dato notizia di una non-notizia, svelando la storia dietro un filmato divenuto ‘virale’ nei giorni precedenti e ripreso da numerose testate televisive e non: in un laghetto, una capra annaspa e rischia di annegare, ma viene infine tratta in salvo  da un ‘eroico’ maialetto - aggettivo che non è stato risparmiato nelle numerose trasmissioni che hanno riportato la ‘news’. Il video, per quanto commovente e a lieto fine, si è rivelato poi una bufala creata ad arte dalla redazione del programma "Nathan for you" di Comedy Central allo scopo di promuovere in maniera non convenzionale il lancio dello show. Uno scherzo ai media mainstream (sono rimaste coinvolte testate come NBC, ABC e Fox) che ha voluto giocare sull'ancora pesante 'analfabetismo digitale' delle redazioni tradizionali, che non hanno saputo accorgersi subito della bufala attingendo senza troppi controlli da Reddit e YouTube, dove l’esca era stata sapientemente piazzata - con tanto di descrizione con evidenti e voluti errori di ortografia.

Su PaidContent, in un articolo dal titolo «What a pig, a goat and an eagle can tell us about the decline of traditional media», Mathew Ingram ha fatto di questo episodio uno spunto dal quale partire per una più ampia discussione attorno all'evoluzione del mestiere giornalistico in redazione, la ridefinizione dei suoi confini e l'intrusione di attori esterni - gli utenti - in una sfera ormai facilmente accessibile. A cominciare dalla pratica della verifica delle fonti, che in questo caso sarebbe stata trascurata per sfruttare a pieno, e senza troppi problemi, un contenuto divertente a costo zero - evidenziando la tendenza dei media tradizionali a raccogliere e divulgare materiale amatoriale online indiscriminatamente. Come per il caso dell'aquila e del bambino di qualche settimana fa, in tempi di «democratizzazione della distribuzione» - per dirla con Om, citato dallo stesso Ingram - è facile imbattersi in notizie, o presunte tali, che per negligenza o accondiscendenza vengono amplificate senza troppe verifiche. È necessario invece, avverte l'autore, badare a cosa si amplifica, e come. Dal momento che rincorrere BuzzFeed o Reddit, sui media tradizionali, non potrà che portare gli utenti alla fonte originale.

Tutti possono essere giornalisti, non tutti sono credibili

È il tema degli user generated content, che forti di mezzi alla portata di tutti hanno amplificato concezione e area di lavoro della produzione giornalistica, fino a rendere i confini fra amatori e professionisti molto più elastici - quanto meno nella percezione dei lettori. Dell'argomento si è discusso negli ultimi giorni durante un evento Unesco, un meeting organizzato dalla WAN-IFRA (World Association of Newspapers and News Publishers), all'interno di un dibattito - riportato da Editors Weblog - che ha rivisitato l'argomento da diverse prospettive. Se è vero infatti che «tutti hanno voce», come ricordato dal panelist Amadou Matha Ba, Chief Executive Officer dell'African Media Initiative, molti dei presenti hanno voluto sottolineare l'importanza della figura del giornalista nella società e nel caos informativo, enfatizzandone le responsabilità di scelta, raccolta e racconto delle notizie, del mantenimento dell'etica e della credibilità professionale - caratteristica definitoria e fondativa. In un dibattito che ha visto contrapporsi diverse tesi e che ha portato alcuni a dirsi poco inclini a continuare a utilizzare la definizione citizen journalism, il Global News Director dell'Agence France-Press Philippe Massonnet ha comunque voluto rammentare che i cittadini fanno parte dell'intera comunità dell'informazione, e da tali - con relativo rispetto - vanno trattati.

Giornalismo, infatti, è riportare fatti nel momento in cui accadono, esattamente come - per esempio - durante disastri naturali, quando persone senza alcun tipo di addestramento professionale raccontano coi loro mezzi semplicemente quello che vedono, testimoniando. «È un ruolo che va difeso», ha infatti spiegato Frank La Rue, Special Rapporteur delle Nazioni Unite per la Libertà d'Opinione e d'Espressione: «Definiamo il giornalismo dalla funzione, non certo dai titoli». Ma quale futuro? Una delle strade sarebbe l'imposizione di una figura dirimente e credibile in mezzo a un flusso disordinato e tutto da verificare (si pensi all’episodio del ‘maiale-eroe’), una nuova e più urgente sfida che attende i giornalisti: «Dobbiamo trasferire le nostre conoscenze - ha ricordato Annette Novak, Board Member del World Editors Forum -: stiamo assistendo al più grande spostamento di conoscenza nella storia del mondo».

E in uno scenario nel quale gli attori in gioco non sono tutti dei tesserati professionisti, ma nuovi membri di un settore ormai aperto - come ad esempio, spiega Novak, semplici utenti Twitter senza competenze specifiche - il settore deve trovare una nuova via per «rianimare un'industria morente»: formare nuove figure, creare nuove identità, in piena connessione con un pubblico sempre meno passivo.