Un Freedom of Information Act per l’Italia

Mercoledì 30 aprile ore 16.00 - Centro Servizi G. Alessi

Il Centro Servizi G. Alessi è la cornice di questo panel discussion che affronta il tema del Freedom of Information Act: il diritto di accesso alle informazioni, il suo significato e il potere che dà a cittadini e politici. Le sfide che genera a livello internazionale e nazionale, un focus sugli ostacoli che attualmente impediscono al nostro paese di adattare la sua legislazione. Antonella Napolitano del Personal Democracy Media modera l’incontro, che vede alternarsi gli speaker Helen Darbshire, Alex Salha, Paolo Coppola, Ernesto Belisario e Andrea Menapace.

Helene Darbishire è fondatore e direttore esecutivo della ONG Access Info Europe, creata per promuovere il diritto di accesso in Europa e nel mondo. Una panoramica sulla situazione mondiale e italiana dell’attivista britannica dimostra che anche le cosiddette “vecchie democrazie” tra cui l’Italia, hanno un accesso alle informazioni molto limitato e il monitoraggio su procedure di trasparenza è una necessità che va attuata nell’immediato. Riportando i dati sul tasso di risposta all’informazione, si rileva che nel Regno Unito il tasso di soddisfazione da parte della popolazione si attesta intorno all’80%. In Italia questo tasso è pari al 15%. Non è quindi una questione di risposte sbagliate, ma di risposte che spesso proprio non arrivano. È alla società civile che appartengono i mezzi di comunicazione, e non ai burocrati come spesso siamo portati a pensare. Inoltre la paura dei governi, che dimostrano un timore nella diffusione dei propri dati per paura di mancare di accuratezza in essi, è un ulteriore ostacolo all’effettiva attuazione del Freedom of Information Act.

Un’esperienza nell’affermazione della libertà di accesso all’informazione è quella di Alex Salha, attivista FOI in Libano, attualmente al 106esimo posto nella classifica della libertà di informazione dei paesi nel mondo. Il progetto portato avanti da Salha e la sua ONG ha generato un notevole cambiamento nel comportamento dei giornalisti, i quali, prima del 2008, anno di avvio del programma, erano frenati dal rischio di essere perseguiti per la pubblicazione di contenuti di informazione contro il governo. L’attivista libanese racconta della forte azione di lobbying da parte di una coalizione di OGN, grazie alla quale un pacchetto di leggi sul tema è riuscito ad arrivare all’attenzione dei politici, e un miglioramento nella propensione all’informazione da parte dei giornalisti/attivisti si è avuto.

Diritto di Sapere è un’organizzazione che si occupa di colmare il vuoto dato dalla mancanza di un FOIA in Italia. Andrea Menapace, co-fondatore dell’organizzazione, rileva che l’obiettivo principale parte dal cambiare la cultura, per renderla meno cultura dell’adempimento e più cultura del risultato. Si dichiara ottimista sulla possibilità di ottenere un mutamento simile nel nostro paese, ma un cambio di approccio è fondamentale in questo senso anche da parte dei giornalisti. Una parte di essi infatti ancora si dimostra legata alle vecchie pratiche di rilevazione delle informazioni e trattamento delle fonti, mentre alcuni pionieri portano avanti un’opera di diffusione della cultura di accesso al DATA, ponendo così cittadini e governanti sullo stesso piano di conoscenze. Ma a che punto è il lavoro del parlamento italiano rispetto all’approvazione del FOIA? Paolo Coppola, deputato del PD, afferma che l’Italia non è a buon punto. Cambiare le legislazioni che limitano la materia è fondamentale, e un segnale positivo viene dallo stesso governo, nell’apertura nel parlare di accountability e di open data government.

Parole chiave queste, che anche Ernesto Belisario, direttore dell’Osservatorio Open Government, utilizza. Il metodo di elaborazione di questa nuova legislazione deve uscire dalle “segrete stanze”per essere aperto, deve ispirarsi alle buone pratiche degli altri paesi ma proporre anche una propria pratica all’avanguardia, come l’idea di una commissione di controllo composta da esponenti della società civile, garante dell’indipendenza delle informazioni. Cambiare quindi le radici della cultura dell’informazione, e incentivare anche un’applicazione immediata delle leggi, che possono con la loro lentezza di attuazione, perdere di efficacia. Che senso ha essere membro della Open Government Partnership se mancano gli elementi per farne parte?

Federica Signoriello