Vita da freelance

A seguire il panel “Vita da freelance” organizzato in collaborazione con l’associazione Giornalisti Scuola di Perugia, un incontro con il mondo dei freelance, categoria invisibile e instancabile cui si deve la  gran parte delle notizie e per capire qual è la strada da percorre in un momento di intensi cambiamenti. A mediare il panel Fausto Bertuccioli, del Giornale Radio Rai.

Il primo ad intervenire è stato Pierluigi Camilli, giornalista, sindaco di Pitigliano ma soprattutto padre di Simone, scomparso a Gaza la scorsa estate, del quale ha riportato l’intensa attività di freelance. Simone nonostante i consigli del padre ha cominciato a fare giornalismo in maniera inusuale, racconta Camilli, portando cassette girate dai giornalisti al centro di Roma durante la morte di Giovanni Paolo II per Associated Press. AP ha successivamente offerto a Simone uno stage per poi inviarlo alla volta nel Cossovo, in Libano ed infine a Gaza dove Simone ha perso la vita nelle operazioni di disinnescamento di un razzo inesploso. Ma ciò nonostante Simone ha scelto questo mestiere per essere libero, racconta il padre, sottolineando come vorrebbe che il termine freelance assumesse il valore di libertà, perché è una professione fatta da persone che, come Simone, vanno direttamente a cercare i fatti sfidando innumerevoli rischi.

E’ toccato poi a Valentina Parasecolo che ha invece seguito un percorso differente iniziato 8 anni fa, durante un periodo di crisi del sistema che ha significato anche una redefinizione del ruolo del giornalismo. “Un percorso comune” racconta Valentina, fatto di lauree e tanti stage non retribuiti, cambiando continuamente città, gruppi di lavoro, metodi e che ha comportato anche alte spese, ma che è servito per avvicinarla alla crisi della professione ponendole tanti interrogativi come “ma il mio mestiere serve ancora? Dovremmo essere tutti content creator?”. Poi la decisione di fondare assieme ad alcuni colleghi della scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia un blog collettivo dedicato alla politica e alla cultura,“Il bureau”.Valentina ha in seguito vinto un premio indetto da Servizio Pubblico e al contempo le si è palesata la possibilità di entrare in Rai, ma lei ha scelto la prima opzione ed assieme ad essa anche un modo differente di vivere, fatto di maggiori incertezze e rischi. Attualmente Valentina è corrispondente per Vice.

Camino ancor più diverso quello percorso da Alessandro di Maio, giornalista freelance siciliano, con una formazione non propriamente giornalistica, ma incentrata sugli studi islamici e mediorientali. Dopo la laurea Alessandro è partito alla volta di Gerusalemme, tuttavia a causa dell’impossibilità di trovare una testata italiana con cui collaborare è stato costretto a ritornare in Italia per poi fare nuovamente ritorno a Gerusalemme grazie alla collaborazione con un quotidiano canadese ed un’agenzia di stampa locale. Il desiderio di Alessandro restava comunque quello di scrivere per gli italiani, un desiderio che attualmente ha potuto realizzare scrivendo per due testate nazionali quali Libero ed il FattoQuotidiano.

La strada da percorrere in un modo che cambia è ricca di insidie anche per una categoria diversa di freelance, come racconta Gabriele Micalizzi, fotogiornalista. Micalizzi ha iniziato prestissimo seguendo la cronaca nera milanese per NewPress, fondando successivamente Censurlab, partito come un laboratorio di stampa e poi diventato un progetto collettivo.

Il fotografo ha evidenziato, come soprattutto in questo caso sia necessario recarsi sul posto e vivere dal vivo gli eventi, anche per i giornalisti, che si spingono nelle zone più caldo anche quando non è necessario.

Successivamente Bertuccioli è intervenuto rivolgendo due domande agli speaker, ne è valsa la pena?C’è il rischio che la deontologia non venga rispettata dai freelance?

Il primo a rispondere è Camilli che racconta “avrei preferito che Simone fosse qui e avesse lavorato dietro una scrivania” poi aggiunge che per la sua esperienza il pericolo maggiore in cui incorrono i freelance è che grazie al proprio slancio e partecipazione non siano più meramente testimoni imparziali, bensì si tramutino in attivisti.

La Parasecolo ribadisce  “Ne è valsa la pena nella misura in cui questo rimbalzo da una redazione all’altra mi ha reso più consapevole dei cambiamenti della professione.” Per quanto riguarda i rischi citati da Camilli divengono effettivi anche nel suo caso come è accaduto alla giornalista nell’ultima stagione di “Vice on Sky tg24” cui ha preso parte.

Anche secondo Di Maio il giornalismo si mescola all’attivismo, specie in Medio Oriente. La deontologia invece fa sì che avvenga una selezione delle notizie in base alla colorazione politica della testata. Ma anche per Di Maio alla fine ne è valsa la pena “Mi sono trasferito all’estero perche  ero curioso e ho ritenuto questi 5 anni come un’accademia su luogo e questo mi permette di occuparmi di quei luoghi di 1 altro punto di vista.”

Micalizzi è più titubante, “ Ho visto morire tante persone ed amici, non saprei…entri in fondo alla vita delle persone e tutto questo viene spazzato via.” Però alla fine ammette che ne è valsa la pena, perché se non così non fosse che senso avrebbe fare questa professione?

Camilla Valli