Giornalismi: cosa è successo nel 2013, cosa ci aspetta nel 2014

di Vincenzo Marino

Il 2014 dei media comincia così come il 2013 è iniziato e finito. Nel gennaio scorso il giornalista e blogger Andrew Sullivan decideva di abbandonare la piattaforma del Daily Beast per lanciare il proprio blog autonomo, sottoponendolo a una raccolta fondi che avrebbe dovuto raggiungere quota 900mila dollari. Il caso ha ovviamente aperto un ampio dibattito sulla sostenibilità economica di piccole imprese come questa e sul valore economico della ‘firma’ indipendente, rilanciando il tema del personal branding nel giornalismo online. Sullivan, in un post del 31 dicembre, ha annunciato di aver raggiunto gli 850mila dollari: soglia quasi raggiunta e successo indiscutibile, minato però dagli alti e bassi della raccolta, eccessivamente influenzata dall’attualità (c’è stato un picco di abbonamenti durante lo shutdown del governo americano) e dal fatto che in febbraio buona parte degli abbonati saranno chiamati a rinnovare la loro sottoscrizione.

Nella raccolta di articoli dell’ultimo anno, che vi proponiamo sotto forma di ebook in versione riadattata e ragionata, il 2013 apre quindi le porte al tema della personalizzazione del lavoro giornalistico e all’impresa del singolo che intende capitalizzare su se stesso e le proprie fonti, fino a trovare nelle ultime settimane dell’anno l’esempio più vistoso (e discusso) nel progetto che coinvolgerà il blogger e giornalista che ha scatenato il Datagate, Glenn Greenwald, e la First Look Media di Pierre Omidyar.

A conferma di un trend ormai consolidato - che nel frattempo ha portato il datajournalist Nate Silver lontano dal New York Times e i redattori di AllThingsD ad abbandonare l’abbraccio del Wall Street Journal e a fondare Re/Code - una delle notizie rilevanti di questo inizio 2014 è proprio il caso del giovane giornalista Ezra Klein e il nuovo Washington Post di Jeff Bezos - episodio che richiama un altro dei temi focali del 2013 che troverà sicuri riverberi nell’anno in corso, ossia l’acquisizione del Post da parte del CEO di Amazon e più in generale l’interesse dei miliardari digitali nei confronti del caro vecchio giornalismo.

Klein, che per il WP si occupava del fortunato WonkBlog, aveva infatti proposto al giornale la creazione di un nuovo progetto, un suo sito da finanziare con una cifra “a otto zeri” che pare non aver incontrato l’entusiasmo della direzione e, a quanto sembra, della stessa nuova proprietà. Il blogger 29enne avrebbe così deciso di abbandonare la piattaforma e lanciarsi alla ricerca di finanziatori: difficile conoscere i motivi del diniego né l’effettiva fattibilità del progetto, e c’è chi in questa corsa all’indipendenza editoriale parla anche di scelte ai confini della superbia.

Il rapporto col lettore e la propria community, al centro di uno degli speech più significativi dello scorso anno (quello di Katherine Viner), è alla base di un altro progetto nato nel 2014: si tratta di Contributoria, è finanziato dal Guardian Media Group e intende unire la comunità degli utenti, la collaborazione fra giornalisti (che propongono le loro storie) e il crowdfunding (altro tema), sfidando una certa ritrosia dei lettori nei confronti dei progetti giornalistici, constata la sfiducia generalizzata nella professione.

In mezzo, tra il gennaio che ha visto il lancio dell’operazione di Sullivan e il dicembre dell’affinamento della newco di Omidyar e Jay Rosen, il mondo dei media è stato scosso dal caso NSA, che ha ovviamente finito per influire nel dibattito pubblico attorno all’informazione, al suo rapporto con le fonti e i governi, e ai nuovi business nel mercato editoriale. Mai come nel 2013 il giornalismo si è trovato sotto l’attacco del potere, che dalla più ‘generica’ sorveglianza globale a casi come le intercettazioni a giornalisti della Associated Press, la convocazione di Alan Rusbridger alla Camera dei Comuni di Londra e la Leveson Inquiry, ha dovuto fare i conti con un panorama nel quale lavorare in anonimato e in piena tranquillità con le fonti è apparso estremamente più complicato, tanto da portare - per esempio - il NewYorker a dotarsi di una propria “scatola di sicurezza” per informazioni sensibili, e a costringere il Guardian - il giornale in prima fila per quanto riguarda il Datagate - a cercare la collaborazione di New York Times e ProPublica.

In uno scenario in cui diventa complicato definire “giornalismo” e “giornalista” e nel quale chiunque può essere in grado di produrre news rilevanti anche a sua totale insaputa (è il caso di Brown Moses), appare piuttosto difficile immaginare quali siano gli scenari futuri per il 2014 dei media (ci provano comunque in molti, dallo speciale di NiemanLab a Filloux su MondayNote) se non partendo da alcuni punti fermi, sostanzialmente connessi all’evoluzione tecnologica, proprio quella stessa evoluzione grazie alla quale oggi diventa faticoso definire con precisione il ruolo del professionista dell’informazione: secondo molti, come il digital strategist Nic Newman, è facile pensare che una più vasta adozione di strumenti come i droni e i wearable gadget influenzeranno il modo in cui le notizie vengono prodotte e condivise, così come una più ampia diffusione di strumenti mobile possa cambiare definitivamente il modo in cui invece vengono lette e impacchettate (atomizzazione delle informazioni, maggior impatto visivo). Se da un lato, infatti, il mercato di smartphone e tablet non sembra conoscere crisi, portando a credere nella primazia del digital only rispetto al digital first, dall’altro l’introduzione di strumenti come i Google Glass sono destinati a ridefinire più di una norma - di carattere tecnico, commerciale, persino etico - per il giornalismo.

Ma non solo: se l’attenzione dei lettori si sta spostando di più sul mobile - ed è possibile presumere che la tendenza nel 2014 possa consolidarsi in modo decisivo - la sfida per le news organization è intercettare la loro disponibilità a acquistare contenuti e quella degli inserzionisti a comprare spazi, prendendo forza dall’incessante calo delle entrate pubblicitarie sul cartaceo e dalla forte ascesa del settore video. Il modello paywall dovrà dimostrare la propria validità lontano dalla redazione del Times, mentre quello del native advertising - che lo stesso NYT ha appena lanciato col restyling del sito - dovrà fare lo stesso coi newcomer (BuzzFeed, VoxMedia, Vice News) che su di esso hanno costruito le loro attuali fortune.

Cosa è successo al giornalismo nel 2013” è l’ebook che raccoglie tutti gli articoli della rubrica settimanale RoundUp del sito del Festival Internazionale del Giornalismo, e condensa gli ultimi dodici mesi dei media, forse i più decisivi del passato recente.


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