A volte Torino sembra indietro di almeno vent’anni in termini di apertura verso chi è diverso. Mi sono stancata di entrare nei negozi con la sensazione che il proprietario si aspetti di vedermi compiere un furto. Senza contare le volte in cui arrivi all’aeroporto di Torino e i cani antidroga iniziano ad annusarti come se fossi Pablo Escobar. Non ho mai vissuto episodi di razzismo da parte dei tifosi juventini o nel campionato femminile, ma c’è un problema a riguardo in Italia e nel calcio italiano ed è il modo in cui viene affrontato che mi preoccupa davvero, dai dirigenti ai presidenti ai tifosi del calcio maschile, che lo vedono come una parte della cultura calcistica e del tifo.

Queste parole, pubblicate nel novembre 2019 da Eniola Aluko sul Guardian, hanno scatenato in Italia un ventaglio di reazioni immediate, tra il rifiuto e l’assurdo - “Sono certa che dentro i negozi la guardavano perché è una bellissima ragazza”, ha detto Maria Luisa Coppa, presidente dell’Ascom. Eppure, commentando la sua esperienza nella Juventus, la stella del calcio ha puntato il dito contro problemi che sono evidenti a chi osserva libero da stereotipi la società e lo sport italiani.

A colloquio con la giornalista sportiva Francesca Baraghini, Eniola Aluko ci offre il suo prezioso sguardo su ciò che si muove dentro e fuori lo stadio. Pregiudizi, identità, successi, fallimenti, fede - temi esplorati anche nell’autobiografia They don’t teach this (Penguin, 2019). Conosceremo più da vicino una campionessa che di recente si è congedata dal suo “caro amico calcio” dopo esserne stata indiscussa protagonista, con 102 presenze e 33 gol, nella nazionale inglese.