Il conflitto siriano è uno dei più lunghi e sanguinosi del Medio Oriente. Nonostante ciò, per ragioni economiche e di sicurezza, sono davvero pochi i giornalisti che riescono a documentarlo sul campo. Ecco perché gli attivisti, che hanno avuto il coraggio di rimanere e di raccontare, sono diventati negli ultimi due anni una fonte fondamentale per dare conto degli effetti delle bombe e degli attacchi sulla popolazione siriana. Questo aspetto apre però un dibattito molto delicato da un lato sulla necessità di riportare le loro testimonianze senza metterli in pericolo e dall’altro di incrociare le informazioni e i dati, senza affidarsi ad un’unica fonte, evitando così di fare informazione di parte. Fondamentale per i media occidentali è poi non cadere nella trappola della semplificazione che interpreta il conflitto siriano come contrapposizione tra le superpotenze e Isis, quando lo scenario geopolitico è invece uno dei più complessi della storia contemporanea. Infine, le notizie che arrivano dal fronte sono filtrate dai comandi militari e dalla leadership dei miliziani che fanno propaganda ciascuno a proprio favore. Ecco perché per fare della buona informazione quando si parla di Siria, è necessario uno sforzo sempre più grande da parte di giornalisti e analisti in una continua e costante verifica delle fonti e dei fatti.