"In queste condizioni non bisogna partire. Di fronte a tragedie di questo tipo non credo che si possa sostenere che al primo posto ci sia il diritto o il dovere di partire e partire in questo modo”.

Così il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi ha commentato il naufragio di Crotone, all'indomani della strage in cui sono morte più di 60 persone, tra cui 14 minori e 1 neonato. Attorno a lui, intanto, andava in scena il rimpallo di responsabilità tra Frontex, Guardia di finanza e Guardia costiera, delineando un quadro in cui la "tragedia" ha preso subito la forma di una strage provocata da una catena di decisioni non prese, o sbagliate. Ma dietro la meccanica decisionale non c'è stato nessun fato avverso, nessun destino crudele. C'è stato piuttosto il compimento di una propaganda divenuta cultura di potere, trasformando migranti e richiedenti asilo in un problema di sicurezza. "Non venite qui", "restate a casa vostra", non possiamo accogliere tutti", "aiutiamoli a casa loro", "dobbiamo proteggere l'Italia dall'invasione". Il dovere di salvare vite è stato assediato in molti modi: con le teorie cospirazioniste come quella della sostituzione etnica, con la criminalizzazione della solidarietà, delle ONG che operano in mare prestando soccorsi e, come rivelato da inchieste come il "Lybiagate", dagli accordi con paesi che violano sistematicamente i diritti umani pur di evitare le partenze. E questo assedio, alla fine, ha fatto crollare un bastione di civiltà, pur di tenere al sicuro la nostra indifferenza.

Col giornalista Nello Scavo, l'attivista Cecilia Strada e Giulio Cavalli, attore e scrittore.

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